Recensione del 16 Luglio 2020. Aprire o chiudere la finestra di Overton: ecco il segreto di Pulcinella. Ogni qualvolta osserviamo la prosaica realtà, qualcuno, dall’alto del suo potere, intima: guardate, un asino che vola, il dramma è che ci crediamo!
Avevamo deciso di scrivere un pezzo tosto, di quelli seri, con le idee a posto, qualche citazione sparsa, giusto per placare l’ansia da prestazione del sedicente saggista, colui che “sa”. Dopo lunghi rovelli notturni – la calura impedisce il sonno del giusto- pensavamo di aver trovato la quadra in una spiegazione psicanalitica della mania distruttiva per la quale sarà ricordato questo terribile 2020. L’uomo occidentale della nostra epoca odia il passato in quanto si è svolto in sua assenza. Il superbo homo sapiens non può concepire nulla di cui non sia protagonista. Detesta i posteri che non avrà e disprezza gli antenati, responsabili di non averla pensata come lui, l’Illuminato, ma soprattutto di averlo fatto senza chiedergli parere e permesso. Il mondo, come ha osato esistere senza di lui?
Ci era balenata l’intenzione di commentare un altro degli spropositi del Grande Adesso, una proposta di legge spagnola tesa a punire il negazionismo della “violenza di genere”. I geniali progre iberici, forse per i colpi di sole dell’estate mediterranea, pensano che la violenza praticata da alcuni uomini sulle donne sia un fenomeno “strutturale” del maschio, un po’ come il razzismo dei bianchi, meritevole non solo di essere represso quando si manifesta concretamente, come è giusto, ma che la negazione di tale postulato diventi a sua volta reato. Grottesca contraddizione tra le affermazioni apodittiche secondo cui nell’essere umano tutto è cultura e nulla è natura o biologia, e la pretesa di colpevolizzare la metà del cielo – quella oscura, chiara solo di pelle –portatrice insana di pulsioni violente nei confronti del genere (non ci azzardiamo a dire sesso) femminile. Niente da fare: troppo caldo e la sensazione di totale inutilità di ogni argomento nell’anno di grazia 2020, anno I dell’era contagiosa e antirazzista.
Poiché la carne è debole, ma lo spirito conserva una certa vitalità, ci è saltato il ticchio di commentare alcune dichiarazioni di Giorgio Agamben, il filosofo di ultrasinistra più odiato dalla sinistra. Dopo aver rilevato che una civilizzazione il cui unico valore è la sopravvivenza non può durare – respinto con perdite e insulti da suburra dai suoi compagni – il pensatore romano non si è fermato. L’ha fatta, come si dice, fuori dal secchio: in un agile libretto (così devono essere definiti i saggi brevi dei “venerati maestri”) ha osato affermare: “se i poteri che governano il mondo (ecco un altro complottista paranoico! N.d.R.) hanno deciso di cogliere il pretesto di una pandemia – a questo punto non importa se vera o simulata – (orrore e crucifige N.d.R.) per trasformare da cima a fondo i paradigmi del loro governo degli uomini e delle cose, ciò significa che quei modelli erano ai loro occhi in progressivo, inesorabile declino e non più adeguati alle loro esigenze”.
Agamben è, come dire, diversamente giovane, avendo raggiunto i 78 anni e i suoi sodali di sempre non gliel’hanno perdonata: negli attacchi subiti vi è più di un accenno all’età e alla perdita di lucidità. La consueta signorilità dei fini uomini e donne di cultura di casa nostra, il cui pensiero si condensa nel dilemma espresso da Nanni Moretti in Ecce Bombo: mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? La seconda che hai detto, risponderebbe Corrado Guzzanti. L’ira dei chierici color fucsia, tutti chiacchiere e salotto, deve essere schizzata al massimo, leggendo il seguito, ovvero che i poteri dominanti- di cui essi sono la classe subalterna, per quanto privilegiata, “hanno deciso di abbandonare senza rimpianti i paradigmi delle democrazie borghesi, coi loro diritti, i loro parlamenti e le loro costituzioni, per sostituirle con nuovi dispositivi di cui possiamo appena intravvedere il disegno”.
Capirà il lettore che di fronte all’improntitudine di riflettere su cose tanto serie, cade la mascherina d’ordinanza e la fronte si imperla di sudore. Abbiamo quindi deciso di intrattenerci con qualcosa di più leggero. Raglio d’asino non sale in cielo, è un proverbio del passato; consapevoli di appartenere alla schiera dei somari, abbiamo pensato a un’apologia del parente sfortunato del più nobile cavallo. Calunniato da secoli come stupido poiché non gradisce gli ordini degli umani, scontento dei pesanti lavori imposti e della soma, l’asino deve essere riabilitato. Il momento è quello giusto.
Abbiamo quindi immaginato un tempo fortunato in cui la legge degli uomini, finalmente, si occupa degli asini, sino a stabilire ufficialmente che volano. Nulla di strano, in fondo. La squadra di calcio del Chievo, il cui simbolo è un asinello – musso, in lingua veneta- era derisa dagli avversari cittadini dell’Hellas Verona, che affermavano canzonatori: quando i mussi volarà, il Chievo in serie A. Nel 2001 il Chievo approdò alla massima serie; un gruppo di tifosi clivensi si organizzò e gli asini, con cavi, corde e altri accorgimenti, volarono davvero, a scherno dei nemici dell’Hellas.
Abbiamo subìto un colpo di sole e abbiamo immaginato una storia in cui il governo, finalmente, ne azzecca una: promulga una legge perché gli asini volino. Purtroppo, passa il tempo (i sogni non hanno calendario) e gli asini non volano, nonostante l’obbligazione legale sancita dal governo. Questo non cambia idea e, testardo come un mulo – la cui madre è pur sempre un’asina – giustifica il fallimento della legge affermando che gli investimenti necessari perché gli asini volino non sono sufficienti. Le proteste dei benpensanti furono notevoli: sono somari, ripetevano, non aquile. Iniziò allora un’intensa propaganda per denunciare che esistono settori arretrati della società che odiano gli asini e vogliono negar loro un diritto fondamentale, quello di volare. Con il tempo, i più si dimenticarono del problema chiave: no, gli asinelli sono simpatici e intelligenti, il loro raglio è melodioso, ma non sono aquile.
Il dibattito proseguiva con tinte moraleggianti tra le fazioni. Da un lato, la linea “ufficiale” manteneva l’obbligo di amare gli asini e difendere l’inalienabile diritto a volare proprio come le aquile. Dall’altra parte, i critici pensavano che fosse tutta un’idiozia. Il governo non trovò di meglio che fare un’altra legge, stabilendo che è delitto di odio non credere agli asini che volano. A fini rieducativi dei recalcitranti, creò una nuova figura professionale, l’esperto specializzato in volo degli asini. Naturalmente, pensò bene, attraverso la scuola e le campagne pubblicitarie, di educare le nuove generazioni alla devozione per l’asino volante. Si arrivò ad affermare che la democrazia e l’asino volante sono inseparabili: negare il volo degli asini significava negare la democrazia. Nessun interesse per l’evidenza. Si trattava di stare dalla parte della Storia, costruire un futuro migliore in cui gli asini potessero solcare i cieli leggeri come colombe.
Sino a quel giorno felice, l’asino che vola resta una nobile aspirazione, una lotta di libertà attorno alla quale fioriscono iniziative, osservatori, associazioni sovvenzionate, agenzie e persino cattedre universitarie. Nonostante ogni sforzo e l’ingente dispendio di risorse economiche, gli asini, testardi, si ostinavano però a non esercitare il loro diritto a volare. Nonostante le critiche di qualche reazionario, il governo intensificò la propaganda, lanciando una nuova parola d’ordine: Non un passo indietro in difesa degli asini volanti! I successi conseguiti in materia di diritti degli asini volanti erano rammentati ogni giorno nei notiziari e sulla stampa; che differenza tra una società egoista, insensibile e una finalmente inclusiva anche dei ciuchini, piena di empatia.
Qui il sogno si interrompe: il caldo non dà tregua. Poi riprende con un volo pindarico e avanza di anni: nonostante tutti gli sforzi e le leggi, gli asini si ostinano a non volare. Nessuno ne ha visto uno alzando gli occhi, ma l’asino volante è diventato un simbolo. Anche le multinazionali si schierano, inventando marchi di successo con l’asino alato per dimostrare al pubblico di essere dalla parte della grande causa del progresso asinino. L’Onu istituisce la Giornata Mondiale dell’Asino che Vola, Google è in prima fila e gli studenti organizzano scioperi contro gli svitati e i malvagi nemici del nuovo simbolo del Bene, sempre minacciato dal Male, le forze oscure della reazione in agguato. La prova della difficoltà degli asini a avvalersi del diritto di volo venne individuata dai più scaltri nell’oppressione “strutturale” del vecchio mondo contro gli asini. L’idea fu accolta con grida di entusiasmo dal mondo accademico, da tempo conquistato alla causa, mentre gli scienziati sociali compilavano saggi e statistiche, con i dati aggregati sulla popolazione asinina e la disapplicazione ostinata, illegittima, del diritto di volo.
La conclusione, unanime, fu che vi erano grandi margini di miglioramento, ma necessitavano nuove risorse economiche a sostegno. L’asino che vola divenne protagonista delle campagne elettorali: dopo anni di sensibilizzazione, moltissimi credevano ormai che l’intenzione dovesse prevalere sull’evidenza. L’intenzione è buona, l’evidenza limitante e malvagia. L’asino – era diventata opinione corrente – non deve dipendere dalle sue capacità reali, ma dalle aspirazioni e dai diritti che gli vengono riconosciuti. Per un asino che vola degno, equo e solidale, divenne uno slogan apprezzato. Essere a favore o contro l’asino volante poteva far vincere o perdere le elezioni, tanto più che i generosi bilanci riservati alla causa facevano gola a tutti. Quindi, anche i partiti che prima consideravano una sciocchezza l’asino che vola, moderarono i toni: non riconoscevano ancora il diritto dell’asino a volare, ma accettarono quello di correre come una gazzella e procedere a balzi come il canguro. Si sviluppò un asinismo radicale e uno moderato. La corrente “asinista” diventava sempre più dominante.
Qualche lettore malfidato finirà per credere che lo scrivano voglia riferirsi a qualche caso concreto del presente. Per nulla: i sogni, sogni sono e certi programmi di “fiction” si cautelano affermando che la loro è opera di fantasia, senza riferimento a persone o cose del mondo reale. I più avveduti potranno pensare che abbiamo fornito una spiegazione amena – nelle intenzioni – della finestra di Overton. Joseph Overton utilizzò la metafora della finestra per spiegare l’idea dello spazio limitato attraverso cui si possono vedere certe cose, ma non altre. L’ubicazione della finestra è stata decisa da qualcuno. Quando si tratta di iniziative politiche o culturali, è essenziale costruire la finestra e controllare – aprire o chiudere – la finestra attraverso cui al pubblico verrà presentata l’idea nuova. Chi ha posizionato la finestra e ne decide l’apertura o la chiusura è in grado, se davvero lo vuole, di convincere del volo degli asini. Fa un gran caldo e siamo troppo stanchi e disillusi per estendere la riflessione alle teorie sulla logica dell’azione collettiva. Ci basti sapere che neanche le finestre sono neutre, come ha svelato Overton.
Vere o false che siano le teorie accennate nel dormiveglia, gli asini che volano abbondano. Assumono la forma delle teorie di “genere”, della normalizzazione di ogni forma di sessualità, dell’affermazione che la violenza di genere è più grave di ogni altra e le donne la subiscono per l’unico fatto di essere tali. Sono asini che volano le convinzioni diffuse che un mondo radicalmente ugualitario è un paradiso in terra e il progresso consiste nel distruggere il passato. Eppure, siamo sinceri: tranne nei sogni e nell’ingegnoso macchinario dei tifosi del Chievo, nessuno ha mai visto volare un asino. E’ proibito dirlo – resiste una franchigia per i sogni – ma nel proprio intimo la grande maggioranza delle persone sa che nessun asino volerà mai.
La politica dell’asino che vola è tanto inconsistente che non c’è bisogno di abbattere a cannonate gli inesistenti asini volanti. Basterebbe un lieve cambio di orientamento nello sguardo della società perché svanisca da un giorno all’altro. Aprire o chiudere la finestra di Overton: ecco il segreto di Pulcinella. Se non capita è perché ogni qualvolta osserviamo la prosaica realtà, qualcuno, dall’alto del suo potere, intima: guardate, un asino che vola. Il dramma è che ci crediamo.
Tranquillizzatevi, tuttavia. Questo capita solo nei sogni, specie se il sonno è agitato, reso affannoso dalla temperatura di stagione e dal temperamento riottoso, irrispettoso del potere. In realtà, tutti sappiamo che gli asini volano. E chi non ci crede, Covid lo colga!
Roberto Pecchioli il 16 Luglio 2020