Perché se l’Italia fosse guarita da quel cancro che ne avvelena l’esistenza, proveremmo gioia nel leggere il nome di Giovanni Falcone all’incrocio di una via o quando entriamo in una piazza, invece è causa ogni volta di dolore e di disperazione?
La mafia non è sempre esistita. Contrariamente alla versione hollywodiana dell’italianità, la mafia non c’entra un bel niente con il fatto di essere italiani, e ancora meno con il fatto di essere italiani del Sud. La mafia è un prodotto dell’uomo e come tale ha avuto un inizio certo e avrà certamente una fine, pensava Giovanni Falcone. Ora, poichè questo fenomeno è avvenuto in Italia, e in Italia ha avuto le sue espressioni più tragiche e violente, viene spontaneo dedurre che l’uomo da cui la mafia derivi storicamente non sia un uomo qualunque, ma un individuo ben preciso, anzi una razza d’individui, come il siciliano, il calabrese e il napoletano. E indubbiamente ci sono stati dei siciliani, dei calabresi e dei napoletani che hanno collaborato alla nascita e alla diffusione del fenomeno mafioso, ma il punto è che non è stata una loro idea e nemmeno la cristallizzazione di una pratica diffusa, di una consuetudine antica o di un sentire comune che nell’associazione criminale e mafiosa abbia trovato la sua forma concreta e definitiva.
L’identità profonda dell’Italia, soprattutto dell’Italia meridionale, è romana e cattolica, frutto di una civiltà plurimillenaria, dove la romanità e la cattolicità si sono integrati formando il carattere di un tipo d’uomo che nella sua essenza è appunto l’italiano, e non c’è niente ad esso di più estraneo dello spirito mafioso. Quindi, se la mafia, questo fenomeno che grazie alla letteratura e al cinema è diventato quasi sinonimo di essere italiani, come se tutti gli italiani fossero dei mafiosi potenziali, oppure delle strane eccezioni, cioe’ uomini nati in Italia ma non italiani e invece francesi, inglesi o americani, non è italiana, da dove viene e perché si è diffusa proprio in Italia? È interessante notare l’origine non italiana di questa letteratura e di questo cinema, prodotti di una cultura protestante e anglofila, soprattutto americana. Così scrittori, registi o attori di origini italiane, ma nati e cresciuti a New York, ad un certo punto sono sembrati i più adatti a raccontare la vera natura degli italiani, e noi italiani abbiamo dovuto imparare chi siamo da loro, e cioè da individui ormai estranei al nostro spirito e alla nostra tradizione.
Di Giovanni Falcone si è parlato tanto, forse troppo, che non si avrebbe voglia di parlarne più, ne hanno parlato e ne parlano tutti, e più forte ne parlano coloro che sono meno degni di parlarne. Come gli altri anelli di questa catena, che se non avessero spezzato avrebbe sollevato l’Italia dalla sua rovina, Giovanni Falcone voleva essere soltanto quello che era. Non aveva nessuna intenzione di fare l’eroe, e non ha mai assunto quel tono di autocompiacimento dell’antimafia di professione, che dopo la sua morte si è trasformata in una foresta fitta e rigogliosa, che invece di aiutare a capire e a sconfiggere il male alla radice, lo protegge e lo nasconde. Giovanni Falcone era un magistrato e aveva un obiettivo: capire e sconfiggere la mafia. Sapeva che si poteva sconfiggerla, ma prima bisognava conoscere e capire. Durante la sua carriera di magistrato aveva raccolto una quantità enorme di informazioni, e aveva del fenomeno mafioso una conoscenza molto precisa, e quasi sicuramente aveva capito. Ad inizio degli anni Ottanta, quando gli avevano assegnato un fascicolo che riguardava il boss Rosario Spatola e che aveva ramificazioni negli Stati Uniti, Giovanni Falcone doveva essersi certamente domandato il motivo di queste ramificazioni e soprattutto della loro vera direzione. Era mai possibile che un’isola al centro del Meditteraneo, un mare che aveva perduto la sua centralità geopolitica da quattrocento anni, fosse all’origine di un potere criminale con ramificazioni nella più grande potenza militare di allora? O non era invece molto più probabile, seguendo la logica dei fatti e degli eventi, che fosse vero l’esatto contrario? A quale società segreta erano affiliati i padri fondatori dell’America? E se anche la mafia era una società segreta, da chi aveva preso in prestito la sua struttura gerarchica, i suoi riti, le sue iniziazioni e le sue condanne? Quel potere, che Sciascia diceva di essere sempre altrove, non proiettava forse nella mafia la sua vera natura? Una cupola che è sopra ogni cosa, che è cosa nostra, ma nostra di chi? Non è stato forse proprio il potere, che non si vede, a darle questo nome? Quelle ramificazioni negli Stati Uniti portavano a dare della mafia una lettura totalmente diversa da quella del cinema e della letteratura, e cioè mostravano come essa fosse una struttura imposta ai siciliani, ai calabresi, ai napoletani, ai milioni di contadini del Sud, per ucciderne la natura, per soffocarla nei tentacoli di una piovra cinica e crudele.
Quei briganti, che senza informazioni e vera organizzazione, con soltanto la forza delle loro tradizioni e della loro fede, avevano capito e avevano combattuto per difendere ciò che dava forza e sostanza alla loro vita, non sono mai stati uomini cinici e crudeli e da loro non sarebbe mai potuto nascere questo mostro che stritola la vita e la costringe in un chiuso cerchio di violenza e di miseria. Giovanni Falcone, investigando i fatti legati alla mafia, deve essere venuto a conoscenza di qualcosa di molto più grande e più preoccupante, la natura delle sue indagini deve averlo portato alla scoperta della menzogna che inquina la nostra vita collettiva e individuale, che confonde sistematicamente le cose, un inganno orchestrato magistralmente per proiettare nella vittima le azioni e le colpe del carnefice. Siamo un popolo sotto tortura ormai da troppo tempo, e la tortura più raffinata è vedere le strade e le piazze d’Italia dedicate a Giovanni Falcone dallo stesso potere che lo ha ucciso. Se ci fosse vera libertà, se finalmente ci fossimo liberati dal potere che Giovanni Falcone aveva individuato e combattuto, se l’Italia fosse guarita da quel cancro che ne avvelena l’esistenza, proveremmo gioia nel leggere il nome di Giovanni Falcone all’incrocio di una via o quando entriamo in una piazza, invece è causa ogni volta di dolore e di disperazione. Ci ricorda dell’esplosione che ha spento il sorriso, il 23 Maggio del 1992, di Giovanni Falcone, l’ultimo dei briganti.
Luca Rossi il 31 Agosto 2023