Le tradizioni sono il frutto di ambienti familiari che la realtà quotidiana cerca di cancellare. Il 5 gennaio di ogni anno, si festeggia la ricorrenza del Panevin, una festa nata nel secolo scorso per scacciare il maleficio ed ingraziarsi la speranza di una annata favorevole per il raccolto.
Siamo i figli di tradizioni che stentano ad essere dimenticate, i nati a cavallo di due ere, la generazione XY, i cosiddetti indefiniti.
Siamo appassionati di storia, arte, letteratura, poesia e cultura, ma circondati da un ambiente che tende a soffocare ed a cancellare ogni tipo di tradizione, di identità, di valori e di credenze popolari.
Per questo non possiamo scordare cosa è il Panevin e quello che ha rappresentato per il mondo agricolo.
Un rito pagano nato ancora nel secolo scorso e poi, consumato negli anni, soprattutto dalle comunità venete e trevisane.
Era un momento di condivisione, di riunione fra le famiglie delle borgate contadine.
Si andava a “ciamar Panevin”, la sera del 5 gennaio, dopo l’imbrunire ed in concomitanza col suono dell’Ave Maria.
La catasta di legna veniva allestita con tre pali intrecciati, uno centrale e due laterali, solitamente di acacia, poi si univano sterpaglie, canne di granoturco, tralci di viti, cartocci di pannocchie, ginepro, frasche, fogliame secco. La scelta del materiale era il frutto della potatura durante l’autunno. Per la raccolta del fogliame, si incaricavano direttamente i bambini.
Sulla punta della pira allestita, si metteva la Marantega o Striga, (strega), un fantoccio vestito con teli di sacchi di iuta vecchi e dilaniati dai topi, riempiti con scarti e cartocci di pannocchie.
Panevin, una festa d’altri tempi: perchè qualcuno si è aspramente accanito contro la vecchietta che bruciano, mettendo alla gogna anche il povero panevin?
Si ergeva sopra una scopa spagliata; era una figura orripilante, dal naso adunco con indumenti logori e malconci. Veniva arsa come rito propiziatorio, al fine di scacciare il maleficio e le disgrazie e portare fertilità e salute per la nuova annata.
Il luogo prescelto era lontano dai centri abitati, in aperta campagna. Ci si riuniva tutti in cerchio, considerato fin dall’antichità un simbolo divino e sacro e si intonavano canti allegri che accompagnavano l’accensione del fuoco.
-El Panevin
la vecia sul camin
la magna i pomi coti
e la me assa i rosegoti
Viva i Panevin…..-
E mentre la catasta bruciava, tra gli auguri dei presenti, canti di gioia e schiamazzi vari, i nonni osservavano la direzione che prendevano le (fuive), faville, in modo da essere preparati alle conseguenze di un raccolto fiorente o meno.
– Fuive verso sera
poenta pien caliera,
fuive verso matina
(poenta picenina)
ciol su i sac
e và a farina,
fuive a meodì
poentra tre olte al dì,
fuive a bassa
poenta pien la cassa.-
La serata continuava poi al tavolo della pinza, un dolce duro, povero e pesante, preparato con farina gialla di granturco, polenta, mele, fichi secchi, noci, semi di finocchio, mandorle. La tradizione popolare consigliava di assaggiarne 7 tipi diversi, proprio per accattivarsi la buona sorte per la stagione. Veniva accompagnata dal vin brulé, una bevanda bollente a base di vino con aggiunta di mele, chiodi di garofano, cannella, scorze di arancia.
Il giorno seguente, la cenere rimasta veniva raccolta e sparsa nei campi, tra le viti, nei pollai, nell’acqua dell’abbeveratoio del bestiame, per conservarla come portafortuna.
Ma le tradizioni popolari, sono figlie di un percorso di vita che la Società contemporanea non intende più accettare, né tanto meno ricordare.
Tutto viene sacrificato per far posto a feste sataniche e degenerative. L’unico scopo, è un divertimento offerto dall’ingozzarsi di cibo spazzatura e bere fino a scoppiare; meglio se gratis.
Il panevin è stato sostituito dall’italianizzato falò. Si celebra nei centri abitati, con i fumi che crivellano l’aria per giorni. Non si canta più, si sparano petardi grossi e fragorosi come cannonate e fuochi d’artificio per catalizzare l’attenzione ed inquinare maggiormente lo spazio circostante.
Qualcuno si è aspramente accanito contro la vecchietta che bruciano, mettendo alla gogna anche il povero panevin.
La colpa è stata indirizzata al nuovo comun denominatore, il patriarcato, che sta andando di moda da alcuni mesi.
“Perché ardere un fantoccio donna è discriminatorio!” secondo codesti.
Probabilmente, visto l’andazzo dei tempi, prossimamente bisognerà adeguare la Marantega, con un fantoccio privo di genere, per far felice i soliti guastafeste del politicamente corretto.
Betty Scapolan il 7 Gennaio 2024