Diritto in funzione del processo o quest’ultimo in funzione del diritto? Secondo la lezione degli antichi, é diritto solo ció che é comandato in quanto giusto di Daniele Trabucco
Ogni processo conduce alla veritá, ma questa resta sempre una veritá di tipo processuale. Questo significa che la veritá che il processo manifesta é semplicemente il risultato della dialettica delle posizioni che si sono fronteggiate e scontrate. Pertanto, la sentenza, che di norma chiude un giudizio, risolve il caso unicamente sulla base di enunciati che possono e debbono essere riconosciuti validi da tutte le parti interessate.
Il contenuto di una pronuncia, allora, non valido perché fondato su elementi in sé giusti, bensí per il suo riconoscimento ad opera delle parti. La loro condivisione é condizione sufficiente per giustificarli, ma in questo modo rimane impregiudicata la questione, non secondaria, dei criteri su cui si fonda il loro riconoscimento (cosí Castellano).
Non é, allora, il diritto in funzione del processo, semmai é quest’ultimo in funzione del diritto. Tutto questo, in assenza di una base filosofica in merito alla condizione stessa della giuridicitá, comporta un approccio nichilistico al diritto, dal momento che esso puó ammettere soltanto la veritá (relativa) del sistema/ordinamento che rivendica la sua autoreferenzialitá. Ora, il diritto (lo ius) non puó basarsi su scelte condivise a maggioranza, poiché, in questo caso (e avrebbe ragione Natalino Irti), esso verrebbe ad identificarsi (come fa la modernitá) con la contingenza del volere umano e con la mera razionalitá operativa della legge in senso hobbesiano. Viceversa, secondo la lezione degli antichi, é diritto solo ció che é comandato in quanto giusto.
Come afferma il giurista romano Paolo (II–III secolo d.C.) “non ex regula ius sumatur, sed ex iure quod est regula fiat” (Cfr. D. 50. 17. 1.). Diversamente, dunque, dal pensiero moderno giusto e legale non coincidono: é la ius–titia la condizione della giuridicitá, o meglio il rispetto dell’essere e dell’ordo rerum in esso inscritto che rendono la legge tale. Scrive san Tommaso d’Aquino (1225–1274): “non videtur esse lex quae iusta non fuerit” (Cfr. S. Th., I–II, q. 95, a. 2).
Prof. Daniele Trabucco Costituzionalista del 02 Marzo 2024