Aspettiamo di giudicare The Donald dai fatti: a noi preme in particolare il suo impegno a combattere finalmente la guerra culturale contro il progressismo occidentale, nato e cresciuto nelle università americane e di lì tracimato nelle periferie dell’impero. Awake, not woke, è uno degli slogan vincenti della sua campagna elettorale, un gioco di parole che possiamo tradurre con svegli, non risvegliati. Finalmente, la controffensiva non è affidata a coraggiosi, isolati intellettuali maltrattati dal sistema, ma diviene programma di governo. Almeno, così si spera.
Comincia l’era Trump, dopo due mesi e mezzo di interregno in cui sono avvenute molte cose: la fine della Siria di Assad, forse la tregua a Gaza, le prime timide prove di dialogo con la Russia, la consegna di alte onorificienze, da parte di Joe Biden, a personalità simbolo del progressismo liberal sconfitto come Hillary Clinton e George Soros, lo speculatore che affossò la lira , principale promotore e ufficiale pagatore dell’agenda della sinistra woke internazionale. Il potere ha celebrato se stesso nella persona delle sue figure di riferimento, tra cui il musicista e attivista irlandese Bono. Grandi sono le aspettative per il quadriennio del neo presidente, a cominciare dalla guerra russo-ucraina, il cui esito sul campo è segnato, rimandato soltanto dall’afflusso continuo di aiuti in denaro e in armi al regime ucraino uscito dal colpo di Stato filo-Usa del 2014.
Aspettiamo di giudicare The Donald dai fatti, in economia, nella geopolitica e sul terreno dell’ immigrazione. A noi preme in particolare il suo impegno a combattere finalmente la guerra culturale contro il progressismo occidentale, nato e cresciuto nelle università americane e di lì tracimato nelle periferie dell’impero. Awake, not woke, è uno degli slogan vincenti della sua campagna elettorale, un gioco di parole che possiamo tradurre con svegli, non risvegliati. Woke, nello slang nei ghetti neri, significa risvegliato, all’erta, ed è la parola simbolo della cultura della cancellazione. Una generazione folle uscita dagli atenei e dalle periferie degradate per distruggere, fare tabula rasa di tutto. Finalmente, la controffensiva non è affidata a coraggiosi, isolati intellettuali maltrattati dal sistema, ma diviene programma di governo. Almeno, così si spera.
Alcuni segnali sono positivi; uno è la nomina di tre attori celebri di orientamento conservatore, Jon Voight, Sylvester Stallone, Mel Gibson ad ambasciatori del presidente a Hollywood, la fortezza che diffonde inespugnabile che diffonde la correttezza politica, la neolingua, l’indottrinamento, le quote razziali, le teorie gender. Non dominerebbe il mondo l’american way of life consumista, materialista, libertario-libertino, senza il gigantesco apparato propagandistico dello spettacolo, che è anche una formidabile macchina per fare denaro. L’officina di Vulcano aperta h.24 di quello che l’amico Martino Mora chiama sistema orgiastico mercantile.
Nelle scorse settimane l’FBI, la polizia federale, ha chiuso il suo ufficio per l’ “inclusione” – parola omnibus che legittima ogni pretesa gender, woke e delle minoranze razzializzate- mentre fondi d’investimento come Black Rock e giganti dell’intrattenimento come Disney, fino a ieri capofila della neo-cultura risvegliata, sembrano abbandonare i famigerati criteri DEI e ESG che avevano posto a base delle politiche aziendali. L’acronimo DEI designa diversity, equity, inclusion, nel cui nome vengono assegnate posizioni professionali – anche apicali- non in base al merito, ma all’appartenenza a varie minoranze, in particolare sessuali ed etniche. L’agenda DEI orienta le campagne pubblicitarie e l’intera filiera delle attività aziendali. ESG significa Environmental, Social and Corporate Governance, ovvero l’adozione dell’agenda eco-ambientale e dei suoi postulati ( cambiamento climatico di origine antropica, lotta all’anidride carbonica, eccetera); il perseguimento di obiettivi sociali attraverso il sostegno a certi movimenti sociopolitici al di là della massimizzazione dei profitti ( una bugia buonista per attirare il consenso dei gonzi); l’approccio politico teso alla semplice governance, ossia l’amministrazione tecnocratica dell’esistente .
L’ approccio ESG è stato adottato nel 2015 dalle Nazioni Unite, dominate dall’ideologia e dal denaro occidentale, ed è uno dei diciassette Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) dell’ Agenda 2030. Non è vano rammentare che il disastroso incendio di Los Angeles, ancora in corso, ha tra le cause alcuni folli costrutti ideologici: l’ambientalismo estremo ha fatto svuotare gli invasi che avrebbero potuto aiutare lo spegnimento, mentre numerose bocche anti incendio , ridipinte con i colori arcobaleno, sono risultate fuori uso. I vertici dei vigili del fuoco californiani non sono stati scelti tra gli esperti del settore, ma tra donne omosessuali, in ossequio alla dogmatica DEI.
Cambiare rotta è semplice buon senso: ritorno alla realtà. Vasto programma, tuttavia, attaccare un sistema di potere esteso e ramificato, tendenzialmente totalitario, formato e rafforzato in un trentennio di egemonia del globalismo progressista. Dobbiamo sperare, e intanto operare affinché venga combattuta e vinta la guerra culturale, un conflitto mortale in cui enormi interessi economici e tecnofinanziari si saldano con la neo cultura global, woke, gender, LGBT e diventano ideologia che pervade ogni ambito dell’esistenza. Di positivo c’è che dopo decenni l’avversario- anzi il nemico- è sulla difensiva, non detta tempi e modi dell’agenda pubblica. E’ un buon segnale anche lo slogan awake, not woke, che punta a sconfiggere la neolingua imposta. L’ amministrazione Trump ha un compito storico: liberare la democrazia americana dal suo nemico interno e risvegliare la cultura.
Il termine woke ha le sue origini a metà del XX secolo, quando si riferiva alla necessità di essere vigili di fronte alle ingiustizie sociali. Inizialmente associato al razzismo, il concetto si è ampliato fino a comprendere tutte le presunte ingiustizie e fobie denunciate dalla nuova sinistra. Tra queste il sessismo, la misoginia, il nazionalismo, l’omofobia, la transfobia, la xenofobia, addirittura la sierofobia (il pregiudizio contro i sieropositivi) e l’incredibile grassofobia. Nuove fobie – ossia disturbi psichici- vengono inventate ogni giorno. Ciò che era un fenomeno limitato a gruppi attivisti e circoli accademici si è rapidamente diffuso attraverso movimenti come Black Lives Matter e Me Too.
Il vero pericolo è emerso con la cancellazione della cultura, una strategia di boicottaggio ed esclusione dallo spazio pubblico diretta contro coloro che hanno osato mettere il verbo “risvegliato”, un circuito della paura che ha instaurato un’ autocensura senza precedenti. Docenti, giornalisti, cittadini comuni hanno paura di esprimere determinate opinioni per timore di essere cancellati, una pratica che include licenziamenti, minacce, ostracismo. Un esempio è il caso del professore universitario Gordon Klein. Durante le proteste seguite all’uccisione di George Floyd a Minneapolis , Klein respinse le richieste di indulgenza nella valutazione degli studenti afroamericani. Klein rispose con domande che evidenziavano l’inconsistenza della richiesta: come dovrebbero essere trattati gli studenti di razza mista? Queste agevolazioni dovrebbero essere estese agli studenti di altre città come Minneapolis? La richiesta non contraddice forse il sogno di Martin Luther King, giudicare le persone in base alle loro condotte e alle loro capacità, e non al colore della pelle? La reazione fu immediata: Klein fu sospeso dal lavoro, accusato di razzismo e le sue lezioni assegnate ad altri insegnanti. Per mesi ha avuto bisogno della protezione della polizia a causa delle minacce contro la sua vita e quella della sua famiglia.
Il movimento woke è diventato giudice, poliziotto e boia negli Stati Uniti, dove i gruppi marginali assumono il ruolo di vittime (per le offese del passato), arbitri (decidono loro chi offende) ed esecutori della pena (impongono la punizione). Tutto ciò con il sostegno esplicito del Partito Democratico. Questo semplicismo binario di vittima e carnefice si è esteso all’ Europa. Con il pretesto di combattere la disinformazione, politici e intellettuali si sono imposti come giudici di ciò che si può o non si può dire. Secondo lo psicologo sociale Jonathan Haidt, l’ascesa woke non può essere compresa senza analizzare i profondi cambiamenti nelle moderne dinamiche digitali intervenuti dopo il 2010, caratterizzati da una crescente polarizzazione e radicalizzazione ideologica sulle piattaforme digitali.
Haidt sostiene che la progettazione dei formati dei media sociali, in particolare l’introduzione di pulsanti come “mi piace”, “condividi”, “blocca”, ha trasformato la comunicazione globale. Prima le reti sociali erano essenzialmente un luogo in cui connettere le persone e condividere idee su base personale. Gli strumenti introdotti hanno aggiunto una componente di ricompensa immediata (mi piace, condividi) che incoraggia comportamenti di validazione sociale e, allo stesso tempo, amplifica le dinamiche conflittuali. Per affrontare questa criticità, Trump sembra disposto ad attuare misure concrete, tra cui eliminare la teoria critica della razza dal curriculum scolastico; chiudere gli uffici DEI nelle istituzioni federali; condizionare i finanziamenti alle università all’ eliminazione delle politiche di discriminazione su base etnica, sessuale o sull’appartenenza alle comunità LGBT ( la cosiddetta azione affermativa); garantire la libertà di espressione sulle reti sociali vietando la censura preventiva.
La cultura woke non è una moda passeggera o una tendenza accademica: è un progetto ideologico che smantella i principi fondamentali su cui si fonda il nostro mondo. In questa battaglia, Trump rappresenta un simbolo di resistenza contro la narrativa che cerca di far tacere, riscrivere la storia, dividere, cancellare l’essenza stessa delle società libere. La falsa promessa di inclusione ha determinato l’esclusione di coloro che non sono d’accordo con i suoi dogmi. Famiglie, luoghi di lavoro, istituzioni sono fratturati da un discorso che sostituisce la realtà con l’ideologia. La reazione è in corso. Negli Stati Uniti, la vittoria di Trump è il segno che molti sono disposti a combattere questo cancro culturale. Gli eccessi woke stanno causando un cambiamento. Donatori delle ONG, dirigenti d’azienda e persino accademici stanno cominciando a rifiutare una tirannia mascherata da progresso.
La stessa lotta deve raggiungere l’ Europa, che si trova di fronte a un bivio inquietante: l’infiltrazione di questa narrazione sta erodendo i pilastri della civiltà. Il contrattacco non può più aspettare. E’ una battaglia combattuta non solo per la libertà di espressione, ma per la sopravvivenza di una civiltà fondata sulla ragione, sul merito e sul rispetto della verità. Una verità che non può essere dettata da mode o follie ideologiche di sacerdoti della menzogna, ma deve scaturire dal dibattito in cui le idee si confrontano apertamente ed è la gente, non le élite, a decidere. Perché, come scrisse Edmund Burke, per il trionfo del male è sufficiente che gli uomini buoni non facciano nulla.
Roberto Pecchioli il 18 Gennaio 2025