Recensione del 15 Febbraio 2019. La “musica” Trap sta diffondendo presso la prima generazione nata nel Terzo Millennio “un’anti identità”, fatta di poche decine di parole, disvalori esaltati come “obiettivi di vita”
Il sistema di intrattenimento è il veicolo privilegiato per far passare i messaggi voluti dall’oligarchia dominante. Il recente festival della canzone di Sanremo ne è la dimostrazione. Almeno tre obiettivi conseguiti in un colpo: sdoganare il genere musicale Trap, sotto i riflettori dopo la tragedia dei ragazzini di Corinaldo; inviare un nuovo segnale multietnico, multiculturale e multitutto con la vittoria imposta di Mahmood, cantante “moroccan pop”; far capire al popolaccio, alla plebe televisiva che la sua opinione non vale nulla, giacché la vittoria è stata decretata dagli “esperti” , vil razza dannata postmoderna, i quali sanno, comprendono e giudicano meglio di qualsiasi altro. Il televoto, parodia della democrazia, non conta, proprio come quello della scheda elettorale. Grazie di avercelo ricordato.
Abbiamo tentato, con modesti risultati, di capire qualcosa della musica Trap, di cui ignoravamo l’esistenza sino a pochi mesi fa. Disse una volta Indro Montanelli che il giornalista è un tizio che cerca di far capire agli altri quel che non ha compreso lui stesso. Nel caso di specie, inquadrare il fenomeno Trap è difficile per motivi generazionali, ma è facile rendersi conto che si tratta dell’ennesima colonna sonora di una crisi di civiltà che dura da oltre mezzo secolo, ed ha imboccato decisamente il buio sentiero del nichilismo. L’unica definizione che ci viene in mente è questa: il Trap è la forma adolescenziale, puberale, del nichilismo vincente, unita all’adesione all’ideologia del liberismo libertario fondato sull’immagine, il denaro, la tecnologia, il consumo compulsivo, l’esibizione. I “trapper”, e, dolorosamente, i ragazzini che adorano tale genere musicale, sono una sottospecie particolarmente insidiosa di homo currens, la generazione che corre a perdifiato verso nessun luogo.
Il significato del termine dice già qualcosa: trap, nel gergo giovanile del sud degli Usa, è un luogo fisico, un edificio degradato dove si vendono droghe. Il rapporto con gli stupefacenti e con gli altri paradisi artificiali è il tema centrale dei testi, l’argomentario di fondo dei brani. Droga, sesso e denaro; a differenza del rock, che diffondeva un immagine di ribellione, pur se in buona parte falsa, i miti del consumo, della ricchezza, del successo sono al centro della visione di questa musica. Oltre la metà degli ascoltatori appartiene alla fascia di età da 13 a 24 anni. I bambini, non rilevati dalle ricerche di mercato, danno numeri ancora più schiaccianti.
Occorre dunque fare i conti con il fenomeno, a partire dalla sua dimensione “tecnica”. Si tratta di un sottogenere della musica hip hop, nato negli Usa fin dagli anni 70 del Novecento, caratterizzato da una ritmica stilizzata che accompagna testi cantati in forma di rime senza melodie. La subcultura hip hop ha generato tra l’altro il fenomeno dei “writers”, coloro che disegnano linee o graffiti sui muri urbani e all’esterno dei mezzi di trasporto (vagoni ferroviari, carrozze delle metropolitane), evoluti poi in disegni sempre più complessi. I più sono semplici imbrattamuri, altri sono oggi considerati artisti, come il mitico Bansky, writer inglese dall’identità sconosciuta le cui opere, rimosse dalle pareti su cui sono state realizzate,vengono esposte e vendute sul mercato dell’arte.
Sotto il profilo delle sonorità, il Trap si caratterizza per l’uso massiccio del Roland TR-808, lo strumento musicale elettronico (drum machine) che esegue ritmi ad imitazione del suono di strumenti a percussione, con bassi potenti e distorti. Le basi sono sempre elettroniche, sintetiche, con l’uso dell’autotune, l’effetto che robotizza la voce, i bpm (battiti al minuto) sono rallentati rispetto al rap, le atmosfere ipnotiche e oscure, i testi si caratterizzano per la ripetitività dei ritornelli. I brani non sono raccolti in CD, considerato un supporto in via di estinzione, la loro diffusione segna un balzo rispetto al passato. Sono caricati prevalentemente su Youtube e spesso i concerti sono pensati più per il pubblico che vedrà e ascolterà attraverso lo schermo di computer e telefoni mobili che per gli spettatori in carne e ossa: un altro elemento totalmente nuovo.
Il Trap si caratterizza più per ciò che rifiuta che per ciò che mostra. Poco nullo è l’impegno sociale, lontana è l’azione collettiva a cui, nel bene e nel male, chiamavano altri generi che hanno improntato la cultura giovanile degli ultimi cinquant’anni. Un ricercatore, che si definisce filosofo del Trap, afferma che la maggioranza degli artisti incarna i valori del liberismo senza saperlo. E’ fortissimo il rischio che i ragazzi nell’età della formazione, particolarmente influenzabili e privi di filtri culturali, si convincano che i due unici obiettivi della vita siano il sesso compulsivo, meccanico e i simboli del consumo – le puttane e le “lambo”, le auto di lusso, cantate da tanti trapper. Il Trap rappresenta nello stesso momento la sottomissione ai valori materialisti e l’incapacità di ottenere soddisfazione attraverso di essi.
Un altro tema riguarda il dubbio se questa musica rifletta la realtà giovanile o si limiti a riprodurre fantasie del mondo pubblicitario e dei video online. Il mito del denaro facile è cantato senza ritegno e senza alcuna riflessione critica. Un trapper, in un’intervista, ha raccontato di aver provato attrazione per un genere musicale che canta denaro, prostitute e droga dopo un lungo periodo di disoccupazione. “Bisogna sentirsi povero per desiderare di essere ricco in maniera ostentata”, ha aggiunto. Sfera Ebbasta indossa abitualmente due orologi Rolex e pare che ne possieda una ventina. Dobbiamo concludere che realtà generazionale e pubblicità coincidano, giacché questa occupa uno spazio centrale nell’immaginario trap. Una vittoria strepitosa del sistema di intrattenimento neoliberale che riporta alla teoria di Thorsten Veblen sui “consumi vistosi” e al simbolismo di certi beni.
La musica Trap è ripetitiva e qualitativamente scadente; il messaggio è in negativo, i suoi eroi sono personaggi estremi. L’uso delle tecnologie la rendono artificiale, non si nota alcun tentativo di andare oltre, tutto deve essere facile, immediato. Una rappresentazione perfetta del primo scorcio del XXI secolo, in linea con la narrazione dominante, secondo la quale al modello vigente non c’è alternativa. Perché allora prendersela o cercare vie d’uscita? Ce ne sono a bizzeffe, offerte dal sistema stesso: la droga, innanzitutto, il sesso facile sganciato dai sentimenti, il denaro come mezzo per acquistare status symbol, tutto ciò che è “firmato” e per ciò stesso desiderabile e necessario.
Scorrendo i testi dei trapper italiani, sorprende la banalizzazione istintuale di tutto: “La mia ragazza segue la moda, io seguo i soldi e la droga”, canta la Dark Polo Gang. Un altro verso grida “mi tuffo verso i soldi con doppio carpiato”. Sfera Ebbasta racconta così del dopo concerto: “Stanza 26, io fatto in hotel/come Kurt Cobain, fumo Marlboro Red/ Lei si sfila i jeans, poi li sfila a me/lancio i soldi in aria/ anche oggi sono il re./ Scelgo una tipa, nessuna dice di no/me la portano in camera con una Vodka”. Ci piacerebbe ascoltare il giudizio delle femministe sempre in cerca dell’eteropatriarcato. Il massimo dell’impegno è l’apologia del disimpegno, come in un testo dell’italo tunisino Ghali: Qual è la differenza tra sinistra e destra? /Cambiano i ministri, ma non la minestra/ il cesso è qui a sinistra, il bagno è in fondo a destra”.
Il turpiloquio è moneta corrente, come l’esaltazione esplicita della droga. Ne è un esempio il brano portato a Sanremo dal trapper che si fa chiamare Achille Lauro: il titolo, Rolls Royce, evoca non tanto l’automobile degli straricchi, ma una pasticca di ecstasy. Achille Lauro è pieno di tatuaggi, anche in viso, e la sua canzone parla di sexy shop, icone rock morte di droga come Amy Winehouse e simili. L’ultimo fenomeno è un ragazzo cesenate, Young Signorino, dal volto coperto di tatuaggi, che aspira a diventare il Marylin Manson italiano. Impressiona l’ambiguità di fondo di ognuno di loro, la scelta di ostentare, vivere e bruciare ogni esperienza. Aspirano, più o meno confusamente, a essere creatori di se stessi, lo dimostrano tatuaggi, capigliatura, abbigliamento.
I concerti mettono in crisi le convinzioni degli appassionati di lunga data: non è considerata importante la musica o la voce in diretta. Alcool e playback sono spesso protagonisti, alcuni concerti sono un misto di festa adolescenziale, performance e compulsione fotografica “photocall”, in cui è cruciale essere vicino all’artista, e rimanere sorpresi, storditi. Per tutti, il mezzo per arrivare al pubblico sono le piattaforme di streaming in rete. Il pezzo Peace and Love, che ha unito Ghali e Sfera Ebbasta ha avuto oltre un milione e mezzo di visualizzazioni su Spotify in un giorno. Alcuni puristi della musica contemporanea rimproverano al Trap di essere un genere per bambini. Ghali si è detto felice “di fare musica per ragazzini”, ma la dura realtà è che il messaggio per gli adolescenti è l’esaltazione di sesso, droga, denaro.
Nelle storie dei trapper figura spesso la purple drank, lo sballo da scuole medie a base di sciroppo di codeina (un alcaloide dell’oppio, etere metilico della morfina) e Sprite. Niente di nuovo, è dagli anni 70 che la droga è il filo conduttore di molta parte della musica, dai Velvet Undergound (Heroin), a Eric Clapton (Cocaine), senza dimenticare la vicenda di decine di protagonisti dalla vita breve e dannata. E’ però ridicola la giustificazione di Sfera Ebbasta: “ognuno deve ragionare con la propria testa, io parlo solo di me e chi ascolta deve capire che non sono esperienze ripetibili nella vita”. Peccato che i suoi adoratori, per i quali è un modello siano ragazzini e perfino bambini, privi di esperienza e non ancora in grado di discernere e comprendere i pericoli. Madri e padri li accompagnino ai concerti senza fiatare: le loro esperienze furono diverse solo in quanto mascherate da ribellione.
Spaventa la solitudine che emerge dalle esperienze dei trapper. A differenza del rap, che tendeva a riunire in gruppi, ciurme solidali contro il sistema (le fratrie postmoderne del gruppo dei pari), il Trap canta l’affermazione di sé, vi domina l’aspetto egocentrico, la ricchezza ostentata, il saperci fare con le ragazze. E’ una sorta di precipitato del sogno americano: vincere da soli, ragazzi difficili che scavalcano le case discografiche, i provini, lo studio e la preparazione e puntano tutto su Youtube, caricano un video e qualche volta diventano fenomeni. Spesso, non è che il quarto d’ora di celebrità alla Andy Warhol. Tutti puntano sull’immagine e sul forte impatto immediato, emozionale.
Non diversa era la poesia del Seicento, epoca di passaggio, di manierismo dopo la straordinaria stagione rinascimentale, in cui Giambattista Marino, il rimatore più dotato, poteva scrivere “è del poeta il fin la meraviglia/ chi non sa stupir, vada alla striglia”. Intanto, i vocabolari segnalano la modifica del linguaggio. L’enciclopedia Treccani ha accolto un lemma del tutto sconosciuto, “bufu”, acronimo di by us, fuck you, per noi puoi andare a quel paese, utilizzato anche dagli “odiatori” (haters) sui media sociali. Il neologismo è stato introdotto in Italia dalla Dark Polo Band, che sta cambiando il gergo dei ragazzini con i suoi tormentoni. Le ragazze sono “bibbi”, fare soldi è eskere e flexare, i gioielli “ghiaccio ice”. Un indigeribile polpettone anglo borgataro da bassifondi che lascia interdetti, un analfabetismo di ritorno fiero di sé, in assenza di reazioni da parte della scuola e dei genitori.
Il Trap sta diffondendo presso la prima generazione nata nel Terzo Millennio un’anti identità fatta di poche decine di parole, disvalori esaltati come obiettivi di vita, tra ritmi ripetitivi distanti dalle qualità musicali dei cattivi maestri delle generazioni precedenti, borborigmi e simil grugniti, significati che possono essere decifrati solo dai destinatari diretti. Il panorama è una società spappolata che non sa esprimere un genere artistico, ma solo ripetere all’infinito gli schemi, alzare l’asticella dell’attenzione, dello stupore, della finta trasgressione diventata obbligo quotidiano. In più, colpisce l’assoluta mancanza di giudizio etico e ribellione sociale. Il Trap è la colonna sonora di una generazione che si lascia vivere e aderisce senza riflessione ai modelli di massa.
Nel tempo, “normalizzato” il sesso, banalizzato l’abuso di alcool, sostanze psicotrope e droghe che hanno reso deboli, manipolabili e imbelli intere generazioni, gli unici valori ammessi sono quelli mercantili. Bisogna fare denaro, subito e in qualunque modo, per soddisfare immediatamente i desideri e correre verso sballi sempre nuovi. La novità inquietante è che il sistema prende al laccio fin da piccoli. La madre del XXI secolo è la pubblicità, che diventa già a dieci, dodici anni maestra di consumo, protagonista dei modelli sociali. Dall’antico vietato vietare siamo passati all’obbligo di trasgredire (che cosa, poi?), all’imperativo di sballare, essere unici ma identici in un misto di istinti scatenati e consumi indotti, droga e sesso, pulsioni infere scandite dal prezzo in denaro. La vita come sabba, con l’i-phone che spara a tutto volume pseudo musiche da consumare fino all’estenuazione; un cortocircuito continuo che spaventa soprattutto in prospettiva.
Abbiamo verificato a quale degrado hanno condotto le culture post Sessantotto, musicali, sociologiche, politiche. Eppure, nonostante tutto, si fondavano ancora su visioni del mondo, ideali, sia pure sbagliati, come quelli di Imagine dei Beatles. Che cosa sarà di questa nazione, di questa civiltà tra dieci anni, quando i figli di Sfera Ebbasta, J-Ax, dei Migos, Drake e degli altri protagonisti di oggi saranno le icone rispettabili di una sottocultura che si sarà fatta potere, sistema di vita, senso comune? Per noi, colpevoli di non aver combattuto abbastanza, la generazione che ascoltò bambina le canzoni dei Nomadi con i testi di Francesco Guccini, belle voci, musiche di qualità, l’unica, amarissima consolazione è il titolo del primo memorabile album: noi non ci saremo. Grazie a Dio.
Roberto Pecchioli il 15 Febbraio 2019, ripubblicato il 27 Maggio 2023