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Mons. Carlo Maria Viganò: “Firmamentum Meum”

Omelia nelle Litanie Maggiori, o Rogazioni. Nelle Rogazioni è riassunta l’anima del popolo cattolico, perché nell’invocare la misericordia e la benedizione di Dio sui frutti della terra che vanno maturando nei campi e lungo i filari, quel popolo si riconosceva con umile realismo peccatore, capace di emendarsi, di far penitenza, di difendere la propria Fede con il generoso e sincero impeto di Pietro: Signore, con Te sono pronto ad andare in prigione e alla morte.

Mons. Carlo Maria Viganò

FIRMAMENTUM MEUM

Omelia nelle Litanie Maggiori, o Rogazioni
Pozzolatico (Firenze)
25 Aprile 2024

Dominus firmamentum meum, et refugium meum, et liberator meus.
Il Signore è mia roccia, mia fortezza e mio liberatore.

Ps 17, 3

Le Rogazioni riportano molti di noi a tempi remoti, nei quali il 25 Aprile era dedicato alla Benedizione dei campi. Ed era nelle campagne, un tempo nemmeno troppo distanti dalle città, che vedevamo processioni di fedeli e popolo seguire il sacerdote al canto delle Litanie. Ut fructus terræ dare et conservare digneris… Contadini vestiti con l’abito della festa accompagnavano i nostri parroci fino ai loro poderi, dove la sua preghiera echeggiava in un silenzio rotto solo dal canto degli uccelli. Gli alberi da frutto erano in fiore e nell’aria volavano i semi dei pioppi. E si sapeva, nell’intimo di una coscienza che parlava ancora, che il Signore premia il giusto e punisce il malvagio: non solo perché questo era ciò che si sentiva predicare in chiesa, ma anche perché questa giustizia semplice nella comprensione e divina nelle sue manifestazioni mandava le cavallette nel campo di chi lavorava la domenica, e rendeva feconde le coltivazioni, generosi i fianchi delle mucche e delle pecore di chi viveva in Grazia di Dio. 

La nostra educazione radicatamente cattolica ci mostrava incastonati in un elaboratissimo disegno della Provvidenza; ed anche se il Creato ci era ostile dopo la cacciata dall’Eden, eravamo nondimeno aiutati dal ritmo sereno delle stagioni e dallo scandire confortante delle ricorrenze religiose a condurre una vita ancora rispondente all’armonia voluta dal Creatore. 

Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
spetialmente messor lo frate sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore…

Potevamo ancora ammirare all’alba, in questa stagione, il cielo che si schiariva e brillava nel suo blu radioso: oggi ci siamo ormai abituati alla grigia coltre di cieli irrorati artificialmente. E comprendiamo, solo oggi, quanto dessimo per scontata la luce del sole, che qualche autoproclamato filantropo vorrebbe schermare: 

de te, Altissimo, porta significatione.

Pensiamoci bene: l’odio del Nemico sembra progressivamente mostrarsi con sempre maggior arroganza, e privare il genere umano della luce del sole è un’inquietante figura dell’oscuramento di Cristo, Sol justitiæ, da parte dei servi dell’Avversario. 

Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.

Quella società ancora cattolica, pur essendo minata dagli errori del liberalismo o del materialismo ateo, è riuscita a sopravvivere fino agli Anni Sessanta perché era tenuta in vita dall’opera santificatrice della Chiesa e da una generazione di sacerdoti formati secondo l’impostazione tradizionale. Per far ingoiare a questi buoni parroci e religiosi l’indigesto boccone del Vaticano II furono necessari anni e anni di rieducazione e di epurazioni, ma nel frattempo – anche dove il rito riformato aveva sostituito la Messa cattolica – dai pulpiti veniva ancora predicata la Fede di Cristo. Solo per questo gli errori moderni non poterono attecchire ovunque: rimaneva nelle anime il timor di Dio, il rispetto della santità della vita, il riconoscimento del ruolo sociale della famiglia, la volontà di Bene. Nel frattempo il cancro conciliare si diffondeva nelle Università pontificie, nei Seminari, nei Conventi, nelle associazioni cattoliche. 

Fu allora che la Gerarchia Cattolica lasciò cadere le Rogazioni, considerandole una vieta manifestazione di fideismo quasi superstizioso. La mente orgogliosa e superba dei novatori non poteva tollerare che il popolo cristiano chiedesse perdono per i propri peccati, invocando la misericordia del Signore e propiziando le Sue benedizioni sui campi. Era una visione “medievale”, indegna delle elevate e adulte coscienze dei modernisti. Era un ostacolo al dialogo religioso, perché riconosceva alla Maestà divina una centralità che l’uomo moderno rivendicava a sé e alla sua dignitas infinita – intelligenti pauca. Così la Provvidenza venne bandita sia nel Suo intervento nella Storia, sia nella nostra possibilità di invocarLa. Il Vaticano II, con la sua visione orizzontale, ci ha precluso quella consolante consapevolezza di essere parte di un cosmo in cui la nostra esistenza individuale è insostituibile perché frutto dell’amore provvidente del Dio Creatore, Redentore e Santificatore. 

La voce della “chiesa conciliare” ci faceva credere che eravamo tutti salvi per il solo fatto che Cristo fosse uomo come noi; e quindi che non vi poteva essere nessuna punizione perché non vi era alcuna colpa da punire; dunque non vi era più un Dio da implorare perché fermasse il braccio della Sua giusta ira su di noi peccatori. Questo voleva dire – e lo vediamo confermato oggi – che non serviva nemmeno un Redentore, e che il Sacrificio della Croce era inutile. Ma se tutti si salvano, a cosa serve la Chiesa? Se non c’è diluvio, a cosa serve l’Arca? Se il mondo può vivere in pace e in armonia senza Dio, perché dovremmo pregarLo? Se vogliamo la pioggia, ce la facciamo cadere noi, e se i campi inaridiscono facciamo crescere piante ogm in idrocultura, creiamo la carne sintetica, sostituiamo il frumento con gli scarafaggi, la natura con i pannelli solari, la vita con la sua grottesca replica in provetta. 

Nelle Rogazioni è riassunta l’anima del popolo cattolico, perché nell’invocare la misericordia e la benedizione di Dio sui frutti della terra che vanno maturando nei campi e lungo i filari, quel popolo si riconosceva con umile realismo peccatore, capace di emendarsi, di far penitenza, di difendere la propria Fede con il generoso e sincero impeto di Pietro: Signore, con Te sono pronto ad andare in prigione e alla morte (Lc 22, 33).

Quel mondo cristiano, cari fratelli, è stato cancellato: in molte nazioni seguirne i principi è considerato un reato. Ma se è umanamente arduo pensare che sia possibile ricostruire quel modello sulle rovine di un’umanità abbrutita e ribelle, abbiamo tuttavia la possibilità di formare piccole comunità in cui sia custodita e conservata la Fede cattolica secondo quel modo di vivere antico e sacro, nella consapevolezza che dovremmo forse adattarci anche alla clandestinità e alla macchia. Sarà allora che i nostri figli scopriranno con stupore e incredulità quanto sia preferibile arare un campo, dissodare un orto, coltivare frutta, allevare il bestiame, pascolare le pecore, saper fare il formaggio e cuocere il pane. Perché quel benedetto sudore della fronte ci riporta alla concretezza della nostra condizione di exsules filii Hevæ ma ci affranca dalla servitù dei call center, dall’usura, dalla necessità di comprare e mangiare quel che altri hanno deciso. 

Tornare alla Fede è possibile creando piccole comunità tradizionali, in cui confrontarsi con gli elementi, seguire i ritmi delle stagioni, la fatica dell’estate e il riposo dell’inverno, la preghiera costante a punteggiare le giornate; giornate in cui ci si alza con la luce del Sole e il segno della Croce, e alla fine delle quali ci si corica con il nome di Gesù e di Maria sulle labbra; giornate in cui la grandine si allontana con una giaculatoria e accendendo la candela benedetta, in cui l’agonia di un’anima è accompagnata dal rintocco della campana, e non dall’arroganza di medici corrotti e infermieri senza cuore. 

Ecco perché preghiamo oggi: perché vi siano agricoltori nei campi, vignaioli nelle vigne, pastori per le greggi, operai infaticabili nei tempi di sereno e di tempesta, nella canicola e con la galaverna. E questo vale per le coltivazioni e il bestiame, ma anche e soprattutto per il campo del Signore, per la Sua vigna, per il Suo gregge: è il motivo per cui nelle Litanie invochiamo di essere risparmiati a fulgure et tempestatea peste, fame et bello, ma anche per cui preghiamo ut domnum Apostolicum et omnes ecclesiasticos ordines in sancta religione conservare digneris. A questo servono i Ministri dell’Altissimo: a dissodare e seminare la Parola di Dio con la predicazione; a moltiplicare i grappoli dell’unica vite; a pascere le pecore che il Signore ha affidato loro. 

L’anniversario dell’Ordinazione sacerdotale di don Lorenzo e don Emanuele e della mia Consacrazione episcopale ci ricordano l’importanza del Sacerdozio cattolico, specialmente in un’epoca in cui i Ministri rimasti fedeli a Cristo sono sempre meno. Il Collegium Traditionis è appunto un seminarium, un luogo – e lo comprenderanno bene quanti conoscono la vita di campagna – in cui il seme della Vocazione è fatto crescere e portato a sviluppo, prima che la pianta possa esser messa a dimora e irrobustirsi dando frutto. Chiediamo anche noi, sull’esempio e per l’intercessione del glorioso Apostolo ed Evangelista Marco, di veder benedetti i frutti soprannaturali di questo vivaio di futuri sacerdoti: per la gloria di Dio, l’onore della Chiesa, la salvezza delle anime. E così sia.

+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo

25 Aprile 2024
S.cti Marci Ev.

Fonte: https://exsurgedomine.it/240425-rogazioni/ del 26 Aprile 2024

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