Il fine del male non può essere che la sua stessa auto eliminazione?
Perché le persone buone sono anche capaci d’immaginarsi il male, e quindi proteggersi da esso, mentre le persone cattive sembrano non avere lo stesso potere d’immaginazione, e quindi ne diventano una facile preda? Non dovrebbe essere il contrario? Cioè che le persone malvagie, avendo più dimestichezza con il male, siano anche capaci di destreggiarsi meglio in sua presenza, di riconoscerlo subito e di ricorrere ai ripari? Quale mistero umano e divino si nasconde in tutto questo? La teodicea (dal greco Theos, Dio e Dike, Giustizia), la branca della filosofia che studia la relazione tra Dio e l’esistenza del male, sembra essere la strada migliore per rispondere a queste domande. Viene il sospetto però, che il solo fatto di porsi queste domande, sottintenda già una specifica teodicea, cioè una visione manichea, tipica della modernità, dove il bene e il male, la Luce e le Tenebre, sono due entità distinte e in lotta tra loro.
Se questa visione fosse corretta, sarebbe logico credere che chi è più forte nel male, sia in qualche misura protetto e supportato da tutti coloro che sono dalla sua stessa parte, come un soldato che trova maggiore solidarietà nel suo esercito che in quello nemico, e comprende meglio le strategie segrete e i piani di attacco dei suoi generali che di quelli altrui. Ma così non accade, quello che in realtà l’esperienza ci insegna (soprattutto l’esperienza degli ultimi due anni) è l’esatto contrario. Per chi è più avanti sulla strada del male, maggiore sono le probabilità che venga tradito dai suoi stessi compagni di strada, e gli agenti del male hanno gioco facile ad ingannare chi ha la mente depravata e corrotta. Si nota in lui un affievolirsi della facoltà di discernimento, una maggiore credulità, una più grassa ignoranza, una più grande vanità, un cieco orgoglio, e mentre egli credeva di andare tutti insieme ad assalire la fortezza del bene, ed a liberarla di tutte le anime semplici e timorose, si trova invece il suo stesso esercito contro di lui, pronto a gettare il suo corpo nel fango, con disprezzo ed indifferenza, come si getta uno straccio usato e sporco. La visione manichea, materialista e dualista, descrive perfettamente l’atteggiamento spirituale della modernità, ma è proprio un aspetto della modernità, cioè l’importanza data al riscontro empirico, che invalida le sue tesi fondamentali. L’esperienza ci mostra, che il male non si oppone al bene, come farebbe un esercito in battaglia schierato di fronte al nemico, pronto a combattere, ma vive in una regione spirituale distante dal bene, come un esercito già sconfitto e in fuga.
Ho sentito molte espressioni, durante questi ultimi tempi, da parte di cristiani devoti, che affermavano come Dio avesse già vinto. Non era un loro irrazionale fatalismo a parlare, ma la voce di una verità profonda, Dio ha già vinto. Quello che sta accadendo in Ucraina, dove l’esercito ucraino si sta arrendendo senza combattere e sta fuggendo dinanzi all’avanzata dell’esercito russo, è una bella metafora storica di questa verità metafisica. Sul fronte orientale europeo, non si sta verificando una vera e propria guerra, dove lo scontro di due schieramenti armati genera un conflitto dall’esito incerto, perché l’esito di questo conflitto è invece certissimo. Lo spettacolo dei soldati ucraini, che vigliaccamente rifiutano di combattere, è la faccia ultima e vera del male, impotente e meschina, contrariamente all’immagine che ne hanno tutti coloro che sono caduti vittime del suo fascino. Il fine del male non può essere che la sua stessa auto eliminazione. Come scrive San’Agostino in De Boni Natura (Sulla Natura del Bene): “Dunque non è cattiva nessuna natura, in quanto natura; per ogni natura invece il male non è altro che diminuzione di bene. Se poi la diminuzione ne comportasse la eliminazione, come non resterebbe nessun bene, così non resterebbe nessuna natura.”. Un po’ come è accaduto in Ucraina, dove non è rimasto nessun esercito.
Recensione del 30 Maggio 2023