Nell’Etica Aristotele scrive, che bisogna “farsi immortali”, ovvero tendere a cogliere il senso ultimo del reale.
Nell’Etica a Nicomaco, la raccolta di lezioni di Aristotele (384 a.C. – 322 a.C.) articolata in dieci libri ed avente ad oggetto l’etica, si precisa come il bene consista in ció a cui ogni cosa tende. Ogni cosa, infatti, mira a sviluppare la propria essenza, cioé tende a realizzare compiutamente se stessa evitando tutto quello che la allontana da sé.
Ora, per l’uomo il riuscire ad essere se medesimo si chiama “felicitá”. Questa, in altri termini, é lo sviluppo compiuto dell’essenza della persona umana (rectius, della sostanza uomo). Come esiste un’opera propria del falegname, del calzolaio, del medico etc., così é necessario ammettere che l’uomo non é un ente inattivo e, pertanto, esiste un’opera precipua dell’uomo in quanto uomo. Essa non consiste nel mero vivere, nel nutrirsi, nel crescere, nell’avere delle sensazioni, dal momento che si tratta di attivitá comuni anche alle piante ed agli animali.
Nemmeno il conseguimento della ricchezza, nonostante lo sfoggio che ne fanno molti, poiché essa é sempre un mezzo (per acquistare, ad esempio, una casa lussuosa) e mai un fine. L’opera propria dell’uomo, che lo differenzia da tutti gli altri e ne costituisce la forma o essenza, é “l’attivitá secondo ragione” o meglio “l’attivitá dell’anima razionale secondo virtú”. Come l’opera propria del medico é curare bene una persona affetta da una patologia e quella del calzolaio di fabbricare bene le scarpe, così l’opera dell’uomo “virtuoso”, ossia colui che sa utilizzare bene i mezzi rispetto ai fini, é quella di portare e mantenere l’anima razionale al culmine delle sue possibilitá.
Qual é, peró, questo culmine? Aristotele ci risponde che esso é la “φρόνησις”, cioé la saggezza che, guardando agli atti e agli eventi contingenti legati al divenire storico, delibera intorno a ció che é bene e a ció che é male per l’uomo. Detto diversamente, essa sa cogliere l’ordine dell’essere. E solo la saggezza costituisce la via d’accesso alla “σοϕία”, alla sapienza, la quale é contemplazione della Veritá necessaria ed immutabile.
Ecco perché nell’Etica Aristotele scrive, a riguardo di questo ultimo punto, che bisogna “farsi immortali”, ovvero tendere a cogliere il senso ultimo del reale. Aristotele ovviamente é un pensatore pagano, non ha conosciuto la Rivelazione cristiana, ma, nel definire la “felicitá” dell’uomo quale contemplazione della sostanza del Dio, anticipa, sia pure con i dovuti distinguo, il concetto di “beatitudo” che si svilupperá in seguito.
Il Dio, per il fondatore del “Liceo, é il Movente Immobile che muove il mondo (per Aristotele non esiste il concetto di creazione e la materia é eterna) e che, pur non producendolo, lo attrae a sé senza “com -muoversi”, restando impassibile. É per questo motivo che il Movente Immobile non é la causa efficiente, bensì quella finale dell’universo.
Prof. Daniele Trabucco Costituzionalista il 23 Giugno 2024