HomeIl Perché RubricheReligioni & Mondo CristianoIl Papato “Scomposto” di Mons. Carlo Maria Viganò

Il Papato “Scomposto” di Mons. Carlo Maria Viganò

La saga infinita sulla Rinunzia di Benedetto XVI continua ad alimentare una narrazione delle vicende cui abbiamo assistito nell’ultimo decennio sempre più ardita e surreale.

Il video:

Il Papato “scomposto” – Emeritus, munus, ministerium.

Il Papato “Scomposto”

Emeritus, Munus, Minusterium

La saga infinita sulla Rinunzia di Benedetto XVI continua ad alimentare una narrazione delle vicende cui abbiamo assistito nell’ultimo decennio sempre più ardita e surreale. Teorie inconsistenti e non suffragate da alcuna prova hanno fatto presa su tantissimi fedeli ed anche su sacerdoti, aumentando la confusione e il disorientamento. Ma se ciò è stato possibile, è in buona parte anche dovuto a chi, conoscendo la verità, nondimeno la teme per le conseguenze che essa, una volta svelata, potrebbe avere. Vi è infatti chi ritiene preferibile tenere insieme un castello di menzogne e inganni, piuttosto di dover mettere in discussione un passato di connivenze, silenzi e complicità.

Lo scambio epistolare

Nel corso di un incontro all’Hotel Renaissance Mediterraneo di Napoli con i Cattolici del locale Cœtus fidelium tenutosi lo scorso 22 Novembre, mons. Nicola Bux ha accennato ad uno scambio epistolare con il “Papa emerito Benedetto XVI”, risalente all’estate del 2014, che costituirebbe la smentita delle teorie sulla invalidità della Rinunzia. Il contenuto di queste lettere – la prima, di mons. Bux, del 19 Luglio 2014 (tre pagine) e la seconda, di Benedetto XVI, del 21 Agosto successivo (due pagine) – non è stato diffuso dieci anni fa, come sarebbe stato più che auspicabile, ma solo oggi se ne è appena accennata l’esistenza. Si dà il caso che io sia al corrente tanto di questo scambio epistolare quanto del suo contenuto.

Per quale motivo mons. Bux decise di non divulgare tempestivamente la risposta di Benedetto XVI quand’era ancora vivo e in grado di confermarla e circostanziarla, e invece di rivelarne soltanto l’esistenza, senza svelarne il contenuto, a quasi due anni dalla sua morte? Perché nascondere alla Chiesa e al mondo questa autorevole e importantissima dichiarazione?

La rivoluzione permanente

Per rispondere a questi legittimi interrogativi occorre mettere da parte la finzione mediatica. Occorre anzitutto comprendere che la visione antitetica di un Ratzinger “santo subito” e di un Bergoglio “brutto e cattivo” fa comodo a tanti. Questa impostazione semplicistica, artefatta e falsa, evita di affrontare il cuore del problema, ossia la perfetta coerenza di azione dei “papi conciliari” da Giovanni XXIII e Paolo VI al sedicente Francesco, ivi compresi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. I fini sono gli stessi, anche se perseguiti con modalità e linguaggio differenti. L’immagine di un anziano, elegante e fine teologo, in pianeta romana e calzari rossi, che riconosce cittadinanza al Rito tridentino e di un intemperante eresiarca globalista che non celebra la Messa e vanifica Summorum Pontificum, mentre promulga la liturgia maya con femmine turificanti, rientra in quell’operazione di polarizzazione forzata che abbiamo visto adottata anche nella sfera civile, dove un analogo progetto eversivo è stato condotto a termine favorendo da una parte le forze ultra-progressiste e dall’altro tenendo buone le voci del dissenso.

In realtà, Ratzinger e Bergoglio – ed è proprio questo che i conservatori non vogliono riconoscere – costituiscono due momenti di un processo rivoluzionario che contempla fasi alterne e solo apparentemente contrapposte, seguendo la dialettica hegeliana di tesi, antitesi e sintesi. Un processo che non inizia con Ratzinger e non finirà con Bergoglio, ma che rimonta a Roncalli e sembra destinato a protrarsi finché la deep church continuerà a sostituirsi alla Gerarchia Cattolica usurpandone l’autorità.

Nella visione ratzingeriana, la tesi del Vetus Ordo e l’antitesi del Novus Ordo si compongono nella sintesi di Summorum Pontificum, grazie all’escamotage di un unico rito in due forme. Ma questa “coesistenza pacifica” è il prodotto dell’idealismo tedesco; ed è falsa perché si fonda sulla negazione dell’incompatibilità tra due modi di concepire la Chiesa, uno sancito da duemila anni di Cattolicità, l’altro impostosi con il Concilio Vaticano II grazie all’operato di eretici fino ad allora condannati dai Romani Pontefici.

La “ridefinizione” del Papato

Ritroviamo lo stesso modus operandi nella volontà espressa prima da Paolo VI, poi da Giovanni Paolo II e infine da Benedetto XVI di “ridefinire” il Papato in chiave collegiale ed ecumenica, ad mentem Concilii, laddove la divina istituzione della Chiesa e del Papato (tesi) e le istanze ereticali dei neomodernisti e delle sette acattoliche (antitesi) si compongono nella sintesi di una ridefinizione del Papato in chiave ecumenica, prospettata dall’enciclica Ut unum sint promulgata da Giovanni Paolo II nel 1995 e più recentemente formulata nel Documento di Studio del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani dello scorso 13 Giugno: Il Vescovo di Roma. Primato e sinodalità nei dialoghi ecumenici e nelle risposte all’enciclica ‘Ut unum sint’. Non stupirà apprendere – come mi confidò il Card. Walter Brandmüller nel gennaio del 2020 rispondendo ad una mia precisa domanda – che il Prof. Joseph Ratzinger elaborava la teoria del Papato emerito e collegiale con il collega Karl Rahner, negli anni Settanta quando entrambi erano “giovani teologi”.

Nel corso di una conversazione telefonica che ebbi nel 2020, una fidatissima assistente di Benedetto XVI mi confermò l’intenzione del Papa – più volte reiterata alla stessa – di ritirarsi a vita privata nella sua dimora bavarese, senza mantenere né il nome apostolico né le vesti papali. Ma questa eventualità era considerata come inopportuna per coloro che avrebbero perso il proprio potere in Vaticano, specialmente nei confronti di quei conservatori che avevano in Benedetto XVI il proprio riferimento e ne avevano mitizzata la figura.

Non sappiamo con certezza se la soluzione teorizzata con Rahner dal giovane Ratzinger fosse ancora contemplata dall’anziano Pontefice, né se il Papato emerito sia stato “riesumato” da chi voleva tenere Benedetto in Vaticano, anche avvalendosi delle pressioni esterne sulla Santa Sede che si erano concretizzate con la sospensione del Vaticano dal sistema SWIFT, ripristinato significativamente subito dopo l’annuncio della Rinunzia. Di fatto la Rinunzia ha creato un’immensa confusione nel corpo ecclesiale e ha consegnato la Sede di Pietro al suo demolitore, il che vede comunque coinvolto Joseph Ratzinger.

Benedetto ricorse quindi all’invenzione del “Papato emerito”, cercando, in violazione della prassi canonica, di tenere in vita l’immagine del “fine teologo” e del defensor Traditionis che il suo entourage aveva costruito. Peraltro, un’analisi delle vicende che riguardano l’epilogo del suo Pontificato è estremamente complessa sia in ragione delle peculiarità intellettuali e caratteriali di Ratzinger, sia per l’opacità dell’azione dei suoi collaboratori e della Curia, sia infine per l’assoluto ἅπαξ della Rinunzia, così come effettuata da Benedetto XVI, una modalità del tutto inedita mai prima verificatasi nella storia del Papato.

D’altra parte, questa parentesi di mozzette e camauri doveva eclissarsi con il passaggio delle consegne al già designato Arcivescovo di Buenos Aires, candidato dalla Mafia di San Gallo a prendere il suo posto sin dal Conclave del 2005. Il ruolo di Benedetto XVI come Emerito ha avuto la funzione di affiancare una sorta di Papato conservatore (munus) che vigilasse sul Papato progressista di Bergoglio (ministerium), in modo da tenere insieme la componente moderatamente conservatrice ratzingeriana e quella violentemente progressista bergogliana, favorendo la percezione di una continuità tra il “papa emerito” e il “papa regnante”.

In sostanza, si è trovato il modo di mantenere Benedetto in Vaticano, per far sì che la sua presenza entro le Mura Leonine apparisse come una forma di approvazione di Bergoglio e delle aberrazioni del suo “pontificato”. Dal canto suo, l’Argentino ha visto in questo monstrum canonico – perché tale è il “Papato emerito” – uno strumento di destrutturazione del Papato in chiave conciliare, sinodale ed ecumenica; la qual cosa, come sappiamo, era condivisa dallo stesso Benedetto XVI.

Il “monstrum” canonico del Papato emerito

Va detto che anche l’istituto dell’Episcopato emerito è un monstrum canonico, perché con esso il Vescovo diocesano si vede “congelare” la giurisdizione su base anagrafica (al raggiungimento del 75° anno di età), contro la prassi plurisecolare della Chiesa. L’emeritato, facendo venir meno nei Vescovi la coscienza di essere Successori degli Apostoli, ha avuto come immediata conseguenza anche una totale deresponsabilizzazione, relegandoli al ruolo di meri funzionari e burocrati. Anche l’istituzionalizzazione delle Conferenze Episcopali come organismi di governo che interferiscono ed ostacolano l’esercizio della potestas dei singoli Vescovi, ha certamente costituito un attentato alla divina costituzione della Chiesa Cattolica e alla sua Apostolicità.

L’Episcopato emerito, introdotto subito dopo il Concilio nel 1966 con il Motu Proprio Ecclesiæ Sanctæ e poi acquisito dal Codice di Diritto Canonico del 1983 (can. 402, § 1), rivela una significativa coerenza con Ingravescentem ætatem del 1970, che priva i Cardinali settantacinquenni delle loro funzioni di Curia e quelli ottantenni del diritto di eleggere il Papa in Conclave. Al di là della formulazione giuridica di queste leggi ecclesiastiche, se ne comprende la mens solo in un’ottica di deliberata esclusione dei Vescovi e dei Cardinali anziani dalla vita della Chiesa, volta a favorire il “ricambio generazionale” – un vero e proprio reset della Gerarchia Cattolica – con Prelati ideologicamente più vicini alle nuove istanze promosse dal Vaticano II. Questa epurazione artificiale della compagine più anziana dell’Episcopato e del Collegio Cardinalizio – e dunque presumibilmente meno incline alle innovazioni –ha finito per falsare gli equilibri interni alla Gerarchia, secondo un’impostazione mondana e secolare già ampiamente adottata in ambito civile. E quando, sotto il Pontificato di Giovanni Paolo II, le cosiddette “vedove Montini” – ossia i Cardinali che negli anni Ottanta avevano raggiunto i limiti di età – chiesero la revoca di Ingravescentem ætatem per non essere escluse dal Conclave, divenne evidente che anche i progressisti degli anni Settanta erano ormai destinati a loro volta a finire vittime della norma che avevano invocato per altri: Et incidit in foveam quam fecit (Ps 7, 16).

Non sfuggirà che, in un’ottica di “ridefinizione” del Papato in chiave sinodale, laddove il Vescovo di Roma sia considerato primus inter pares, l’istituzione dell’Episcopato emerito e le norme che limitano l’esercizio dell’Episcopato e del Cardinalato al raggiungimento di una certa età, costituiscono la premessa all’istituzionalizzazione del Papato emerito e alla giubilazione del Papa anziano.

Il falso problema di munus e ministerium

Dalla tesi del Papato (sono Papa) in conflitto con l’antitesi della Rinunzia (non sono più Papa) risulta un concetto in continuo divenire – come il divenire è l’assoluto per Hegel – ovverosia la sintesi del Papato emerito(sono ancora Papa ma non faccio più il Papa). Non si trascuri questo aspetto filosofico del pensiero di Joseph Ratzinger, che gli è precipuo e ricorrente: la sintesi è di per sé provvisoria, in vista di una sua mutazione in tesi a cui si contrapporrà una nuova antitesi che darà luogo ad un’ulteriore sintesi, a sua volta provvisoria. Questo incessante divenire è la base ideologica, filosofica e dottrinale della rivoluzione permanente inaugurata dal Concilio Vaticano II sul fronte ecclesiale e dalla Sinistra globale sul fronte politico.

Abbiamo dunque assistito a una sorta di separazione artificiale del Papato: da una parte il Papa rinunciava al Papato e dall’altra la persona Papæ, Joseph Ratzinger, cercava di mantenerne alcuni aspetti che gli garantissero protezione e prestigio. Siccome l’allontanamento fisico dalla Sede Apostolica poteva apparire come una forma di disapprovazione della linea di governo della Chiesa imposta dalla deep church bergogliana, tanto il Segretario personale quanto il Segretario di Stato fecero forti pressioni perché Ratzinger rimanesse “a mezzo servizio”, per così dire, giocando sulla fittizia separazione tra munus e ministerium – peraltro vigorosamente smentita nella risposta dell’Emerito a mons. Bux.

Il Prof. Enrico Maria Radaelli ha evidenziato nei suoi approfonditi studi che questa arbitraria bipartizione del mandato petrino tra munus e ministerium rende invalida la Rinunzia. Dal momento che il Primato petrino non può essere scomposto in munus e ministerium, essendo esso una potestas che Cristo Re e Pontefice conferisce a colui che è stato eletto per essere Vescovo di Roma e Successore di Pietro, la negazione di Ratzinger (nella citata lettera) di non aver voluto scindere munus e ministerium è in contraddizione con l’ammissione dello stesso Benedetto di aver impostato il Papato emerito sul modello dell’Episcopato emerito, che appunto si basa su questa artificiosa e impossibile scissione tra essere e fare il Papa, tra essere e fare il Vescovo. L’absurdum di questa divisione è evidente: se fosse possibile possedere il munus senza esercitare il ministerium, dovrebbe essere parimenti possibile esercitare il ministerium senza possedere il munus, ossia svolgere le funzioni di Papa senza esserlo: la qual cosa è un’aberrazione tale da inficiare radicalmente il consenso all’assunzione del Papato stesso. E in un certo senso questa dicotomia surreale tra munus e ministerium l’abbiamo vista concretizzata, quando l’Emerito era Papa ma non esercitava il Papato, mentre Bergoglio faceva il Papa senza esserlo.

La desacralizzazione del Papato

D’altronde, il processo di desacralizzazione del Papato iniziato con Paolo VI (pensiamo alla scenografica deposizione del triregno) è proseguito senza soluzione di continuità anche sotto il Pontificato di Benedetto XVI (che ha rimosso la tiara anche dallo stemma papale). Ciò è da attribuirsi precipuamente alla nuova ecclesiologia ereticale del Vaticano II, che ha fatto proprie le istanze della società secolarizzata e “democratica” accogliendo in seno alla Chiesa concetti quali la collegialità e la sinodalità che le sono ontologicamente estranei, stravolgendo così la natura monarchica della Chiesa voluta dal suo divino Fondatore. Lascia certamente interdetti e immensamente addolorati vedere con quanto zelo la Gerarchia conciliare e sinodale si sia fatta promotrice della sovversione in seno alla Chiesa Cattolica. Una sequenza di riforme, norme e pratiche pastorali da oltre sessant’anni demoliscono sistematicamente ciò che sino a prima del Vaticano II era considerato intangibile e irriformabile.

Va anche ricordato che la Rinunzia di Benedetto XVI non è stata seguita da un normale Conclave, nel quale gli Elettori hanno scelto serenamente il candidato alla successione sul Soglio di Pietro; ma da un vero e proprio colpo di stato compiuto ex professo dalla Mafia di San Gallo – ossia dalla componente eversiva infiltratasi nella Chiesa nel corso dei decenni precedenti – mediante la manomissione e violazione del regolare processo elettivo e il ricorso a ricatti e pressioni sul Collegio Cardinalizio. Non dimentichiamo che un eminente Prelato ha confidato a conoscenti che ciò a cui aveva personalmente assistito in Conclave poteva pregiudicare la validità dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio. Anche in questo caso, incomprensibilmente, il bene della Chiesa e la salvezza delle anime sono stati messi da parte, in nome di una farisaica osservanza del segreto pontificio, forse non del tutto scevra da ricatti e minacce.

Vi è un’evidente contraddizione tra lo scopo che Benedetto si prefiggeva (cioè: rinunciare al Papato) e il mezzo che egli ha scelto per farlo (basato sull’invenzione del Papato emerito). Questa contraddizione, in cui soggettivamente Benedetto si è dimesso ma oggettivamente ha prodotto un monstrum canonico, costituisce un atto così sovversivo da rendere nulla e invalida la Rinunzia. A suo tempo questa contraddizione dovrà essere sanata da un pronunciamento autoritativo, ma rimane il fatto ineludibile che la forma in cui è stata posta la Rinunzia non toglie le successive irregolarità che hanno portato Bergoglio ad usurpare il Soglio di Pietro con la complicità della deep church e del deep state. Né è possibile pensare che la Rinunzia non debba essere letta alla luce del piano eversivo che mirava ad estromettere Benedetto XVI per sostituirlo con un emissario dell’élite globalista.

Il castello di menzogne cui cooperano laici, sacerdoti e prelati, anche in buona fede, rimane una gabbia nella quale essi si sono imprigionati. Nella drammatizzazione mediatica, gli attori Ratzinger e Bergoglio ci sono stati presentati come portatori di teologie antitetiche, quando in realtà essi rappresentano due stadi successivi del medesimo processo rivoluzionario. Ma l’apparenza, il simulacro su cui si basa la comunicazione di massa non può sostituire la sostanza di Verità cui è indefettibilmente tenuta la Chiesa Cattolica per mandato divino.

Conclusione

Ai tantissimi fedeli scandalizzati, ai molti sacerdoti e religiosi confusi e indignati, ai pochi – almeno per ora – che levano la voce per denunciare il golpe perpetrato ai danni della Santa Chiesa dai suoi stessi Ministri, rivolgo il mio incoraggiamento a perseverare nella fedeltà a Nostro Signore, Sommo ed Eterno Sacerdote, Capo del Corpo Mistico. Resistete forti nella fede, ci ammonisce il Principe degli Apostoli (1 Pt 5, 9), sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le vostre stesse sofferenze. Il sonno nel quale il Salvatore sembra ignorarci mentre la Barca di Pietro è sconquassata dalla tempesta, deve essere per noi uno sprone ad invocare il Suo aiuto, perché solo nel momento in cui ci rivolgeremo a Lui, lasciando da parte rispetti umani, teorie inconsistenti e calcoli politici, Lo vedremo destarSi e comandare ai venti e al mare di placarsi. Resistere nella fede richiama il combattimento per rimanere fedeli a ciò che il Signore ha insegnato e comandato, proprio nel momento in cui molti, soprattutto ai vertici della Gerarchia, Lo abbandonano, Lo rinnegano e Lo tradiscono. Resistere nella fede implica il non venir meno nel momento della prova, sapendo attingere in Lui la forza per superarla vittoriosi. Resistere nella fede significa infine saper guardare in faccia la realtà della passio Ecclesiæ e del mysterium iniquitatis, senza cercare di dissimulare l’inganno dietro il quale si nascondono i nemici di Cristo. Questo è il senso delle parole del Salvatore: Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi (Gv 8, 32).

+ Carlo Maria Viganò, Arcivescovo

30 Novembre 2024

S. Andreæ Apostoli

Versione in lingua Inglese:

The “Disassembled” Papacy

Emeritus, Munus, Ministerium

The never-ending saga of the Resignation of Benedict XVI continues to fuel an increasingly bold and surreal narrative of the events we have witnessed in the last decade. Inconsistent theories not supported by any evidence have taken hold of many of the faithful and even some priests, increasing confusion and disorientation. But if this has been possible, it is also largely due to those who, knowing the truth, nonetheless are afraid to speak about it because of the consequences that the truth, once revealed, could have. In fact, there are those who believe it is preferable to shore up a castle of lies and deceit, rather than having to face questions about a past of connivance, silence, and complicity.

The Exchange of Letters

During a meeting at the Renaissance Mediterraneo Hotel in Naples with Catholics from the local Cœtus Fidelium held this past November 22 [2024], Msgr. Nicola Bux mentioned an exchange of letters with “Pope Emeritus Benedict XVI,” dating back to the summer of 2014, which supposedly constitute the definitive denial of the various theories that are out there about the invalidity of Benedict’s Renunciation. The content of these letters – the first, written by Msgr. Bux on July 19, 2014 (three pages), and the second, by Benedict XVI, on August 21, 2014 (two pages) – was not released ten years ago, as would have been more than desirable. Instead, only today has their existence been barely mentioned. It so happens that I am aware of both this exchange of letters as well as their content.

Why did Msgr. Bux decide not to promptly disclose Benedict XVI’s response when Benedict was still alive and able to confirm and corroborate it, and instead to reveal only its existence, without disclosing its content, almost two years after his death? Why would he hide this authoritative and very important declaration from the Church and the world?

The Permanent Revolution

To answer these legitimate questions, we must put aside the fiction given us by the media. We must first understand that the antithetical vision of a “santo subito” [immediate saint] Ratzinger and an “ugly and bad” Bergoglio is convenient for many. This simplistic, artificial, and false approach avoids addressing the heart of the problem, that is, the perfect coherence of action of the “conciliar popes” from John XXIII and Paul VI to the self-styled Francis, including John Paul II and Benedict XVI. The goals are the same, even if pursued with different methods and language. The image of an elderly, elegant, and refined theologian, in a Roman chasuble and red shoes , who granted citizenship to the Tridentine Rite, contrasted with an intemperate globalist heresiarch who does not celebrate Mass and has nullified Summorum Pontificum, while promulgating the Mayan liturgy with thurifying females, is part of that operation of forced polarization that we have also seen adopted in the civil sphere, where a similar subversive project has been carried out by favoring ultra-progressive forces on the one hand and keeping the voices of dissent quiet on the other.

In reality, Ratzinger and Bergoglio – and this is precisely what conservatives do not want to recognize – constitute two moments of a revolutionary process that contemplates alternating phases that are only apparently opposed to one another, following the Hegelian dialectic of thesis, antithesis, and synthesis. A process that did not begin with Ratzinger and will not end with Bergoglio, but rather that goes back to Roncalli and seems destined to continue as long as the deep church continues to replace the Catholic Hierarchy by usurping its authority.

In the Ratzingerian vision, the thesis of the Vetus Ordo and the antithesis of the Novus Ordo are combined in the synthesis of Summorum Pontificum, thanks to the subterfuge of a single rite in two forms. But this “peaceful coexistence” is the product of German idealism; and it is false because it is based on the denial of the incompatibility between two ways of conceiving the Church, one corresponding to two thousand years of Catholicism, the other imposed by the Second Vatican Council thanks to the work of heretics who until then had been condemned by the Roman Pontiffs.

The “redefinition” of the Papacy

We find the same modus operandi in the intention expressed first by Paul VI, then by John Paul II, and finally by Benedict XVI to “redefine” the Papacy in a collegial and ecumenical way, ad mentem Concilii, where the divine institution of the Church and the Papacy (thesis) and the heretical demands of the neo-modernists and the non-Catholic sects (antithesis) are combined in the synthesis of a redefinition of the Papacy in an ecumenical way, proposed by the encyclical Ut Unum Sint promulgated by John Paul II in 1995 and more recently formulated in the Study Document of the Dicastery for Promoting Christian Unity issued this past June 13 [2024]: The Bishop of Rome. Primacy and Synodality in Ecumenical Dialogues and in the Responses to the Encyclical ‘Ut Unum Sint’. It will not be surprising to learn – as Cardinal Walter Brandmüller confided to me in January 2020 in response to a specific question of mine – that Professor Joseph Ratzinger was developing the theory of the Pope Emeritus and a collegial [shared] Papacy with his colleague Karl Rahner in the 1970s when they were both “young theologians.”

During a telephone conversation I had in 2020, a very trusted assistant of Benedict XVI confirmed to me Pope Benedict’s intention – which he reiterated several times to her – to retire to private life in his Bavarian residence, without maintaining either his apostolic name or his papal vestments. But this eventuality was considered inopportune for those who would lose their power in the Vatican, especially those conservatives who had Benedict XVI as their point of reference and had mythologized his figure.

We do not know for sure whether the solution theorized with Rahner by the young Ratzinger was still contemplated by the elderly Pontiff, nor whether the Papacy Emeritus was “resurrected” by those who wanted to keep Benedict in the Vatican, also by making use of external pressure on the Holy See that had materialized with the suspension of the Vatican from the SWIFT system, which, significantly, was restored immediately after the announcement of the Resignation. In fact, the Resignation has created immense confusion in the ecclesial body and has handed over the See of Peter to its destroyer, which in any case is something Joseph Ratzinger has been a part of.

Benedict thus resorted to the invention of the “Papacy Emeritus,” trying, in violation of canonical practice, to keep alive the image of the “fine theologian” and the defensor Traditionis that his entourage had constructed. Moreover, an analysis of the events that concern the epilogue of his Pontificate is extremely complex, both because of the peculiarities of Ratzinger’s intellect and character, and because of the opaqueness of the action both of his collaborators and of the Curia, and finally because of the absolute ἅπαξ of his Renunciation, as carried out by Benedict XVI, a completely new modality never seen before in the history of the Papacy.

On the other hand, this parenthesis of mozzettas and camauros was supposed to have been eclipsed with the handover to the already-selected Archbishop of Buenos Aires, who was nominated by the Saint Gallen Mafia to take Benedict’s place ever since the Conclave of 2005. The role of Benedict XVI as Emeritus had the function of supporting a sort of conservative Papacy (munus) that would keep watch over the progressive Papacy of Bergoglio (ministerium), so as to keep together the moderately conservative Ratzingerian component and the violently progressive Bergoglian component, thereby favoring the public perception of a supposed continuity between the “pope emeritus” and the “reigning pope.”

In essence, a way was found to keep Benedict in the Vatican, so that his presence within the Leonine Walls would appear as a form of approval of Bergoglio and the aberrations of his “pontificate.” For his part, the Argentine saw in this canonical monstrum – because this is what the “Papacy Emeritus” is – an instrument for the destructuring of the Papacy in a conciliar, synodal, and ecumenical way; which, as we know, was a desire shared by Benedict XVI himself.

The Canonical “monstrum” of the Pope Emeritus

It must be said that the institution of the Episcopate emeritus is also acanonical monstrum, because with it the diocesan Bishop sees his jurisdiction “frozen” on the basis of age (upon reaching the age of 75), contrary to the centuries-old practice of the Church. The institution of the category of emeritus, by making the Bishops lose their awareness of being Successors of the Apostles, has also had as an immediate consequence a total de-responsibility, relegating them to the role of mere officials and bureaucrats. The institutionalization of the Episcopal Conferences as organs of government that interfere with and hinder the exercise of the power (potestas) of individual Bishops has certainly constituted an attack on the divine constitution of the Catholic Church and its Apostolicity.

The Episcopate Emeritus, introduced just after the Council in 1966 with the Motu Proprio Ecclesiæ Sanctæ and then adopted by the Code of Canon Law of 1983 (can. 402, § 1), reveals a significant consistency with Ingravescentem Ætatem of 1970, which deprives seventy-five-year-old Cardinals of their Curia functions and eighty-year-old Cardinals of the right to elect the Pope in Conclave. Beyond the juridical formulation of these ecclesiastical laws, their mens [purpose] can only be understood in a perspective of deliberate exclusion of Bishops and senior Cardinals from the life of the Church, aimed at favoring the “generational change” – a real reset of the Catholic Hierarchy – with Prelates ideologically closer to the new requests promoted by Vatican II. This artificial purge of the most senior members of the Episcopate and of the College of Cardinals – and therefore presumably less inclined to innovation – has ended up distorting the internal balance of the Hierarchy, according to a worldly and secular approach already widely adopted in the civil sphere. And when, under the pontificate of John Paul II, the so-called “Montini widows” – that is, the cardinals who had reached the age limit in the 1980s – asked for the revocation of Ingravescentem ætatem so as not to be excluded from the Conclave, it became evident that the progressives of the 1970s were also destined in turn to fall victim to the norm they had invoked for others: Et incidit in foveam quam fecit (Ps 7:16) [he is fallen into the hole he made].

It will not escape notice that, in a perspective of “redefinition” of the Papacy in a synodal key, where the Bishop of Rome is considered primus inter pares [the first among equals], the institution of the Episcopate emeritus and the norms that limit the exercise of the Episcopate and the Cardinalate to the attainment of a certain age, constitute the premise for the institutionalization of the Papacy emeritus and the jubilation of the elderly Pope.

The False Problem of munus and ministerium

From the thesis of the Papacy (I am Pope) in conflict with the antithesis of Renunciation (I am no longer Pope) there emerges a concept in continuous evolution – just as becoming is the absolute for Hegel – that is, the synthesis of the Papacy emeritus (I am still Pope but I do not act as Pope). This philosophical aspect of Joseph Ratzinger’s thought, which is principal and recurrent to him, should not be overlooked: the synthesis is in itself provisional, in view of its mutation into a thesis which will be opposed by a new antithesis that will give rise to a further synthesis, in turn provisional. This incessant becoming is the ideological, philosophical, and doctrinal basis of the permanent revolution inaugurated by the Second Vatican Council on the ecclesial front and by the global Left on the political front.

We have therefore witnessed a sort of artificial separation of the Papacy: on the one hand the Pope renounced the Papacy and on the other the persona Papæ, Joseph Ratzinger, tried to maintain some aspects of it that would guarantee him protection and prestige. Since the removal from the Apostolic See could appear as a form of disapproval of the line of governance of the Church imposed by the Bergoglian deep church, both the Personal Secretary and the Secretary of State put strong pressure on Ratzinger to remain “part-time” so to speak, playing on the fictitious separation between munus and ministerium – which moreover was vigorously denied in the Emeritus’ response to Mons. Bux.

Prof. Enrico Maria Radaelli has highlighted in his in-depth studies that this arbitrary bipartition of the Petrine mandate between munus and ministerium renders the Renunciation invalid. Since the Petrine Primacy cannot be broken down into munus and ministerium, since it is a potestas that Christ the King and High Priest confers on the one who has been elected to be Bishop of Rome and Successor of Peter, Ratzinger’s denial (in the cited letter) stating that he did not want to separate munus and ministerium is in contradiction with Benedict’s own admission that he has based the Papacy emeritus on the model of the Episcopate emeritus, which is precisely based on this artificial and impossible split between being and doing the Pope, between being and doing the Bishop. The absurdum of this division is evident: if it were possible to possess the munus without exercising the ministerium, it would also be possible to exercise the ministerium without possessing the munus, that is, to carry out the functions of Pope without being one: which is an aberration such as to radically invalidate the consent to the assumption of the Papacy itself. And in a certain sense we saw this surreal dichotomy between munus and ministerium realized, when the Emeritus was Pope but did not exercise the Papacy, while Bergoglio acted as Pope without being Pope.

The Desacralization of the Papacy

On the other hand, the process of desacralization of the Papacy that began with Paul VI (think of the scenic deposition of the tiara) continued without interruption even under the pontificate of Benedict XVI (who also removed the tiara from the papal coat of arms). This is to be attributed principally to the new heretical ecclesiology of Vatican II, which made its own the demands of secularized and “democratic” society by welcoming into the bosom of the Church concepts such as collegiality and synodality that are ontologically alien to her, thus distorting the monarchical nature of the Church willed by her divine Founder. It certainly leaves one bewildered and immensely saddened to see how zealously the Conciliar and Synodal Hierarchy has promoted subversion within the Catholic Church. A sequence of reforms, norms, and pastoral practices for over sixty years have systematically demolished what until before Vatican II was considered intangible and unreformable.

It should also be remembered that Benedict XVI’s Resignation was not followed by a normal Conclave, in which the Electors serenely chose the candidate to succeed the Throne of Peter; but by a real coup d’état carried out ex professo by the Saint Gallen Mafia – that is, by the subversive component that has infiltrated the Church during the preceding decades – through the tampering with and violation of the regular elective process and the recourse to blackmail and pressure on the College of Cardinals. Let us not forget that an eminent Prelate confided to acquaintances that what he had personally witnessed in the Conclave could jeopardize the validity of the election of Jorge Mario Bergoglio. Also in this case, incomprehensibly, the good of the Church and the salvation of souls have been set aside, in the name of a pharisaical observance of the pontifical secret, perhaps not entirely free from blackmail and threats.

There is an obvious contradiction between the goal Benedict set for himself (i.e., to renounce the Papacy) and the means he chose to do so (based on the invention of the Papacy Emeritus). This contradiction, in which Benedict subjectively resigned but objectively produced a canonical monstrum, constitutes an act so subversive as to render the Renunciation null and void. In due time, this contradiction will have to be remedied by an authoritative pronouncement, but the inescapable fact remains that the form in which the Renunciation was placed does not remove the subsequent irregularities that led Bergoglio to usurp the Throne of Peter with the complicity of the deep church and the deep state. Nor is it possible to think that the Renunciation should not be read in the light of the subversive plan that aimed to oust Benedict XVI and replace him with an emissary of the globalist élite.

The castle of lies in which lay people, priests, and prelates cooperate, even in good faith, remains a cage in which they have imprisoned themselves. In themedia dramatization, the actors Ratzinger and Bergoglio have been presented to us as bearers of antithetical theologies, when in reality they represent two successive stages of the same revolutionary process. But appearance, the simulacrum on which mass communication is based, cannot replace the substance of Truth to which the Catholic Church is indefectibly bound by divine mandate.

Conclusion

To the many scandalized faithful, to the many confused and indignant priests and religious, to the few – at least for now – who raise their voices to denounce the coup perpetrated against the Holy Church by Her own Ministers, I address my encouragement to persevere in fidelity to Our Lord, the Eternal High Priest, the Head of the Mystical Body. Resist strong in faith, the Prince of the Apostles admonishes us (1 Peter 5:9), knowing that your brothers scattered throughout the world are undergoing the same sufferings as you. The sleep in which the Savior seems to ignore us while the Barque of Peter is tossed by the storm, must be for us a spur to invoke His help all the more, because only when we turn to Him, leaving aside human respect, inconsistent theories, and political calculations, will we see Him awaken and command the winds and the sea to calm down. Resisting in faith calls for the struggle to remain faithful to what the Lord has taught and commanded, precisely at the moment in which many, especially at the top of the Hierarchy, abandon Him, deny Him and betray Him. Resisting in faith implies not fainting in the moment of trial, knowing how to draw from Him the strength to overcome it victoriously. Resisting in faith ultimately means knowing how to look straight into the face of the reality of the passio Ecclesiæ and the mysterium iniquitatis, without trying to conceal the deception behind which the enemies of Christ hide. This is the meaning of the words of the Savior: You will know the truth, and the truth will set you free (Jn 8:32).

+ Carlo Maria Viganò, Archbishop

November 30, 2024

S. Andreæ Apostoli

Ricevuto e pubblicato il 30 Novembre 2024

RELATED ARTICLES

Most Popular

Recent Comments