Negli ultimi decenni si sta diffondendo un’epidemia contagiosa di “asineria” e non è colpa dei giovani ma di chi li ha plasmati. Le ultime generazioni stanno perdendo non solo saperi, conoscenze, ragione critica, ma abilità antiche come la scrittura.
Una giovane universitaria che deprecava giustamente i proprietari di cani indifferenti alla rimozione dei bisognini dei loro animali, ha confuso deiezioni con delazioni. Siparietto divertente, ma è la prova dell’ignoranza che sta privando di parole e conoscenze un’intera generazione, quella detta Z, i nativi digitali, cresciuti a pane, internet e smartphone. L’ignoranza è forza, era scritto sul grande palazzo del partito unico al potere nel romanzo 1984. Missione compiuta, giacché negli ultimi decenni si sta diffondendo un’epidemia contagiosa di asineria. Poiché però le ultime generazioni sono state programmate per credere di essere le più avanzate, sapienti ed illuminate della storia, aveva ragione Goethe: nulla è più terribile di un’ignoranza attiva. E a Montaigne: l’ignoranza che si conosce, si giudica e si condanna non è un’intera ignoranza: perché lo sia, bisogna che ignori se stessa.
Incultura tronfia come quella del signorino soddisfatto intravista da Ortega y Gasset. I asu ‘d Cavour as laudu da lur, gli asini di Cavour si lodano da soli, recita un detto piemontese. Bruttini e sciocchi, lo fanno per narcisismo, presunzione, millanteria. Asino è l’ingiusto sinonimo di ignorante, ma sapere è potere, diceva Francis Bacon, scienziato e filosofo il cui cognome ricorda probabilmente agli analfabeti funzionali un ingrediente del cibo di Mc Donald. Ci vogliono ignoranti, è chiaro. E meno intelligenti, come dimostra la diminuzione del quoziente intellettivo, chiamata effetto Flynn al contrario dal nome dell’inventore del test che misura l’ intelligenza. Dopo la scolarizzazione di massa e la fabbrica di diplomi e lauree voluta da uno sciagurato egalitarismo ( l’inclusione che esclude la conoscenza) avanza il semplice addestramento a compiti prestabiliti, scisso da una visione generale, dall’educazione al pensiero e al giudizio personale. Nel mondo di Pinocchio l’omino di burro conduceva i bambini nel paese dei balocchi per farli diventare asini e venderli al mercato. La verità nella fiaba.
Professionisti, medici e psicoterapeuti agiscono per protocolli, ridotti a meri esecutori di istruzioni ricevute, le nuove indiscutibili tavole della legge. Cavalli alla stanga con il paraocchi. La differenza con il passato è che l’ignoranza odierna è dotata di titoli accademici, quindi arrogante, saccente. Con fatalismo contadino un personaggio de La Luna e i falò di Cesare Pavese esclama: gli ignoranti saranno sempre ignoranti perché la forza è nelle mani di chi ha interesse che la gente non capisca. L’astuzia contemporanea è averci convinto di essere diventati sapienti, colti, riflessivi. Le ultime generazioni stanno perdendo non solo saperi, conoscenze, ragione critica, ma abilità antiche come la scrittura.
L’ignoranza deliberata, programmata, perseguita dall’alto – con esclusione dell’esigua minoranza destinata al dominio – è un fatto, un preciso strumento di governo. Non viene percepita dalla massa per un cortocircuito ovvio: crediamo di sapere. Chi sa di non sapere, dal tempo di Socrate si impegna nello studio, nel ragionamento, nel confronto. Il signorino soddisfatto è convinto di sapere tutto ciò che “serve”. Ultimamente basta la capacità di maneggiare lo smartphone e la tastiera del pc. A portata di clic ci sono le risposte, ma mancano le domande.
Il degrado dei sistemi educativi, incentrati sulla formazione strumentale e non sul ragionamento critico, ha prodotto generazioni incapaci di mettere in discussione lo status quo. Tutte le analisi mostrano il deterioramento dell’istruzione e il suo impatto sulla capacità di comprendere informazioni complesse. Centrale è il ruolo dei media, che privilegiano l’intrattenimento banale rispetto al contenuto informativo, contribuendo all’impoverimento intellettuale collettivo. La banalizzazione culturale e la mancanza di un dibattito serio hanno ristretto lo spazio – e l’interesse- per la riflessione. La civiltà dell’immagine, basta sui frame ( cornice, ma anche frammento) ha sconfitto la parola scritta. La Generazione Z sta smarrendo la scrittura e in parte la stessa lettura. Oltre alla perdita della capacità di scrivere a mano una lettera, le implicazioni sono enormi anche sul modo in cui si scrive, scarnificato nel lessico, disarticolato nei tempi e nei modi verbali, intriso di riduzionismo, acronimi, segni stenografici.
Enormi sono anche le ricadute sulla capacità di calcolo, di soluzione di problemi matematici e non solo ( alla faccia del problem solving tanto apprezzato sul mercato) sulla memoria, incapace di ritenere testi o formule, nonché di comprendere, spiegare, rielaborare quanto appreso. L’era tecnologica ha cambiato tutto, dal modo in cui educhiamo al modo in cui ci relazioniamo. La tecnologia digitale ha trasformato la comunicazione, rendendo la scrittura a mano sempre meno comune. Tutti gli studi confermano che dalle piattaforme di messaggistica alle reti sociali, i giovani preferiscono gli scambi rapidi e brevi, forzatamente superficiali, binari come il linguaggio informatico.
Un problema antropologico, non solo culturale, giacché la scrittura svolge un ruolo chiave nello sviluppo cognitivo. È legata ad abilità come la memoria e la comprensione, poiché impegna il cervello in forma diversa rispetto alla digitazione su una tastiera. Ciò ha profonde implicazioni sul modo in cui le ultime generazioni percepiscono e interpretano il mondo. La scrittura a mano è una forma di comunicazione riflessiva e personale, lontana dagli stereotipi. Uno dei problemi è l’impreparazione crescente di gran parte delle figure professionali. L’ignoranza deliberata ha conseguenze e la difficoltà di lettura, lessico, capacità nel calcolo, memorizzazione, elaborazione delle complessità si sta riversando sul sistema economico. L’imperizia frutto del declino educativo e della prevalenza della macchina sull’uomo diventano concause della più generale decadenza della nostra società.
Il paragone con le condizioni di vent’anni fa è impietoso, le previsioni future severe. Non è colpa dei giovani ma di chi li ha plasmati. Il peggioramento riguarda almeno la metà di chi si presenta sul mercato del lavoro, segno che l’addestramento anziché l’educazione e la cultura non funzionano neppure dal punto di vista della ragione economica. Nondimeno, gran parte dei giovani ha una formazione teorica più solida rispetto ai padri. Mancano l’ empatia e la comunicazione. Ovvio, in una società competitiva in cui l’altro è un nemico, come minimo un concorrente.
Declinano abilità antiche e moltissimi- compreso l’autore di queste note- hanno perso la capacità di scrivere in una grafia comprensibile. Crollano la memoria e la capacità di calcolo. Tutto ciò conduce a un pensiero elementare, incapace di cogliere , elaborare, ritenere la complessità, insieme con il fastidio per lo sforzo mentale, imprescindibile per la conoscenza e per il pensiero astratto, critico e meditante. Effetti di una discesa voluta dall’alto. Al sistema non servono più, come in passato, ingenti masse umane da impiegare nell’agricoltura, nell’industria, nella guerra. Per un secolo era stato indispensabile formare intere generazioni a conoscenze e capacità complesse da utilizzare sul mercato del lavoro, così come alimentare ideologie contrapposte ( divide et impera).
Oggi non è più così: le rivoluzioni tecnologiche, la robotica, l’automazione , permettono di prescindere dall’essere umano in moltissimi ambiti, anche di elevato livello cognitivo. Perché dunque impiegare tempo e denaro nell’educazione, nell’istruzione, nella cultura? Meglio mantenere le masse nell’ignoranza, che assicura indifferenza , adattabilità sociale, incapacità di pensare altrimenti. Colse perfettamente nel segno Gunther Anders ne L’uomo è antiquato, oltre sessanta anni fa. Intuì la deriva trans e anti umana della tecnologia e il divario insanabile – lo definì dislivello prometeico- che allontana sempre più l’essere umano dai suoi stessi prodotti, appartenenti al dominio della tecnica.
Ne riassumiamo un brano illuminante, scritto agli albori della televisione, quando ancora la pubblicità non era così pervasiva, Internet non esisteva e la rivoluzione tecnologica basata sull’informatica era lontanissima. Per reprimere preventivamente qualsiasi rivolta è importante non ricorrere alla violenza. I metodi violenti sono diventati obsoleti. Basterà creare un condizionamento collettivo così potente che nella mente degli uomini non sorgerà nemmeno l’idea di ribellarsi. L’ideale è formattare gli individui fin dalla nascita, limitandone le capacità biologiche innate. Il condizionamento continuerà riducendo la qualità dell’istruzione per trasformarla in una forma di apprendistato lavorativo. Un individuo non istruito ha un orizzonte di pensiero limitato e quanto più il suo pensiero è limitato a preoccupazioni materiali e mediocri, tanto meno potrà ribellarsi. Si farà in modo che l’accesso alla conoscenza sia sempre più difficile ed elitario; si approfondirà il divario tra il popolo e la scienza. L’informazione destinata al grande pubblico sarà depurata da ogni contenuto sovversivo ( ossia antagonista). Soprattutto, nessuna filosofia. Anche in questo caso bisognerà ricorrere alla persuasione e non alla violenza diretta: saranno diffusi massicciamente attraverso la televisione spettacoli che anestetizzano la mente, lusingando il registro emotivo, istintivo.
Le menti verranno occupate con ciò che è futile e giocoso. I discorsi e la musica incessanti sono utili per impedire alla mente di riflettere. La sessualità sarà al primo posto tra gli interessi umani. Come anestesia sociale, non c’è di meglio. Si farà in modo che venga bandita la serietà dell’esistenza, sia ridicolizzato tutto ciò che ha un valore elevato, si mantenga una costante apologia della leggerezza, affinché l’euforia della pubblicità, del consumo diventi norma della felicità umana e modello di libertà. Il condizionamento produrrà un’integrazione tale che l’unica paura (che dovrà essere mantenuta) sarà quella di essere esclusi dal sistema e quindi non poter accedere alle condizioni materiali necessarie per raggiungere la felicità. L’uomo massa così plasmato deve essere trattato per quello che è: un prodotto, un vitello, e deve essere controllato come va controllata una mandria. Qualsiasi dottrina che metta in discussione il sistema deve essere descritta come sovversiva e terroristica, e coloro che la sostengono devono essere trattati come tali.
Siamo diventati troppo ignoranti per capirlo ?
Roberto Pecchioli il 14 Gennaio 2024